Grazie alle cervellotiche procedure previste dal cd ‘rosatellum’ è stato necessario un tempo enorme per conoscere i nomi degli ultimi eletti, con il conseguente sospetto di brogli, ma nel campo dei perdenti è già (giustamente) tempo di analisi dell’esito elettorale e di riflessione sul ‘che fare’.
Non potrebbe essere diversamente, visto che a consegnare il Paese al partito di Giorgia Meloni sono stati principalmente gli errori della sinistra, e in particolare del PD.
Non mi riferisco solo al rifiuto dell’alleanza con il M5S, che è l’ultimo di una lunga serie.
Ben più grave è stata l’approvazione di una legge elettorale incostituzionale, che deforma in modo intollerabile la volontà popolare, e il mancato rispetto dell’impegno assunto di modificarla prima del voto.
Il risultato, che stiamo vivendo, è che la coalizione della destra, che ha ottenuto intorno al 43% dei voti validi, cioè poco più del 25% dell’elettorato, conquista quasi il 60% dei seggi e governerà in assoluta stabilità pur rappresentando una minoranza. Senza contare gli ‘aiutini’ che otterrà per strada, come è tradizione del nostro Parlamento, più probabilmente dall’auto-definito ‘terzo polo’.
Ora sul nostro sistema democratico parlamentare, fondato sulla sovranità del ‘popolo’ (art.1 Cost,), incombe la minaccia di trasformazioni, già annunciate, in senso presidenzialista e autoritario, che limiterebbero ulteriormente la possibilità per i cittadini di far valere le loro scelte su tematiche sempre più urgenti come le politiche ambientali, il rifiuto del coinvolgimento nelle minacce di guerra, la progressiva concentrazione in poche mani della ricchezza e del potere a livello internazionale.
Questa situazione dovrebbe imporre alle forze politiche di opposizione di individuare nella difesa della Costituzione e della democrazia le priorità su cui unire quanti non hanno votato la destra (o semplicemente non hanno votato), rinunciando alla ricerca di impossibili unanimismi e considerando fisiologica una sana dialettica interna.
E’ il momento di praticare una serena autocritica, iniziando, per esempio, dal chiedersi perché tanti giovani hanno rinunciato a esprimere la loro volontà e a decidere così del loro futuro. O perché hanno scelto forze politiche tradizionalmente legate a un padronato che, per ribadire il proprio potere assoluto, ha voluto cancellare l’art. 18 e imposto un precariato permanente.
Non per scatenare una inutile caccia ai colpevoli, anche se il rinnovamento dei quadri dirigenti appare indispensabile, ma per impedire al nostro Paese di tornare indietro di un secolo all’inizio di uno sciagurato ventennio.
Non è più tempo di veti incrociati, né tantomeno di protagonismi individuali: è necessario individuare nella difesa della democrazia e della Costituzione che la codifica il vero confine che separa destra e sinistra;occorre mobilitare l’opinione pubblica con una capillare controinformazione sulle conseguenze di scelte che, come nel caso della riforma del sistema Giudiziario o dell’ulteriore peggioramento del sistema fiscale, della rottura dell’unità nazionale o della privatizzazione dei servizi pubblici e dei beni comuni, avrebbero conseguenze gravissime sulla nostra vita.
Dobbiamo ammonire la maggioranza (solo) parlamentare che non accetteremo lo stravolgimento in senso autoritario della nostra società, in attesa che una nuova legge elettorale rispettosa della Costituzione ristabilisca un corretto rapporto di rappresentanza, oggi tradito dal ‘rosatellum’.