Verrà ricordato alle prossime generazioni di politici come colui che da solo osò porsi contro il mainstream fino a portare alla Consulta la sua protesta contro le leggi elettorali inique che ci hanno privato, e tuttora ci privano, di qualsivoglia rappresentatività.
Verrà ricordato come un politico capace di incarnare etica e dottrina, strenuo difensore della libertà senza la quale non c’è giustizia. Lo dimostrò in Senato sul finire della XIII Legislatura quando fu relatore della legge 482/99 sul riconoscimento e sostegno delle minoranze linguistiche del nostro paese. Fu quello il punto più alto della sua carriera politica ed al contempo l’inizio di una lotta continua, duratura e travagliata per affermare il diritto costituzionale di rappresentanza. Che non è solo quella politica o elettorale ma quella che incarna il diritto ad una società paritaria, eguale e multiculturale.
Fu attraverso quella legge che prendemmo atto e cercammo di sanare le disparità delle minoranze ladine o slovene o di quelle collocate dalla storia in Regioni a Statuto ordinario, come gli albanofoni di Calabria, i grecanici del Salento o gli occitani delle valli piemontesi. Ricordo sempre l’esempio più emblematico da Lui citato, in una proiezione europea quanto mai attuale, circa la massima discriminazione delle minoranze linguistiche tra di loro e le liste espressione di minoranze politiche. Infatti l’acme fu raggiunto proprio e, paradossalmente, con la legge per l’elezione dei membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia, L. 18/1979, perché le uniche minoranze linguistiche tutelate sono la francese della Val d’Aosta, la tedesca della Provincia di Bolzano e la slovena della Regione Friuli– Venezia e le minoranze politiche sono state eliminate con l’introduzione, con la legge n. 10/2009, di una soglia di accesso del 4%, superiore a quella prevista per il Parlamento bicamerale italiano dalla legge n. 165/2017. Così la battaglia per liberare le minoranze dai legacci si intreccia con quella per la rappresentanza mortificata da congegni elettorali iniqui e lesivi della Costituzione.
Dopo aver contribuito in modo determinante alla cancellazione da parte della Consulta della legge definita Porcellum, Felice, ricorrendo con tutte le procedure possibili, ha cercato di ridarci quei diritti che la politica aveva negato. Lo ha fatto da politico, da giurista, come Ricorrente contro la legge elettorale per il Parlamento europeo e naturalmente per il Parlamento nazionale. Non solo a Lui, di certo, ma anche per le sue iniziative, il Comitato per il No al Referendum del 2016 raggiunse la vetta 60%. E malgrado quella vittoria, ancora oggi molti diritti, a partire dalla rappresentanza per passare alla salute, ai beni comuni vengono negati senza che si innalzi l’onda della protesta collettiva. Sicchè Felice, con pochi altri epigoni, si è ritrovato da solo a sventolare il vessillo della Charta Costituzionale ancora da applicare.
Se si pensa che alla povertà incoming che sta guadagnando larghi strati della popolazione italiana non si dedicano le dovute policies. Nessuno meglio di Lui si è avvicendato nei meandri delle leggi elettorali, scontrandosi contro le segreterie dei partiti, anche quelli, a parole, contrari alla attuale legislazione. Un lavorìo politico, controcorrente e contro le correnti, che non ha giovato alla sua carriera politica ma che lo ha consacrato come Defensor unicus degli artt. 2 e 3 Cost. e non solo. Fino ad arrivare al nonsense di un Parlamento, ridotto in media del 36.50% dei suoi componenti dalla legge cost. n. 1/2020, ma, si badi bene, salvo l’eccezione al Senato della Regione Trentino–Alto Adige/Südtirol cui, in virtù dell’art. 116 Cost., e non per l’art. 131 Cost., sono stati attribuiti 3 senatori della Repubblica, a ciascuna delle due Province autonome di Trento e Bolzano, che pure non sono parti costitutive della Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost., ma della Regione.
La logica besostriana porta a considerare le deforme sulle leggi elettorali quasi una sorta di grimaldello per l’ultimo affondo anticostituzionale: la legge sul premierato considerata dal PdCM pro tempore la “Madre di tutte le Riforme”. In uno degli ultimi interventi, risalente al dicembre 2023, Felice scrisse, con un altro giurista, Enzo Paolini, [1]“La prima osservazione è che i due termini — “rappresentatività” e “governabilità” — così come proposti nel Disegno di legge, sono del tutto incoerenti e, per quanto riguarda il secondo — la asserita “governabilità” — anche pericoloso. Come può essere rispettato il principio di rappresentatività se chi vince, poniamo con il 25% (cioè una maggioranza relativa), prende il 55% dei seggi delle Camere lasciando al restante 75% del corpo elettorale il residuo 45% da dividere tra tutti? La “governabilità” poi è un concetto dannoso; ed infatti non c’è nella Costituzione.
La “governabilità” poi è un concetto dannoso; ed infatti non c’è nella Costituzione. È stato introdotto con subdola demagogia per giustificare il sistema elettorale dei nominati e dei premi di maggioranza a chi non è maggioranza per poter ripetere il ritornello suggestivo, dei vincitori che si devono sapere la sera delle elezioni, del chi vince prende tutto.” Come dire, dalle leggi elettorali incostituzionali al vero smantellamento dell’impianto democratico costituzionale il passo è breve. Così per noi tutti, socialisti e non, Felice in questi anni difficili è divenuto il portatore di quel vessillo, lacerato in molte battaglie ma pur sempre vivo anche se sfilacciato, sbandierato con onore e coraggio, come avvenne a Valmy quando “gli straccioni contadini” francesi sconfissero le forze prussiane e austriache. Girando la pagina del rigoroso Uomo politico e del Giurista, ritroviamo una Figura non meno complessa ma sempre impregnata di umanità solidaristica che emanava dalla sua caratterizzante natura socialista. Un esempio di etica socialista e solidale.
Dei momenti salienti che hanno segnato la mia vita non–solo–professionale-accademica ma dedicata alle esperienze socio–politiche, ricordo una telefonata di circa venticinque anni addietro. Dall’altro capo del telefono una voce decisa, quasi imperiosa mi invitava a scrivere per “Avvenire dei Lavoratori”, iconica e storica voce della Federazione dei Socialisti Italiani in Svizzera. D’allora con Felice Besostri è nato un sodalizio amicale e fraterno dal quale ho imparato moltissimo in termini di etica, scienza della politica, e naturalmente…legge elettorale.
Felice è stato un fraterno fratello maggiore. Ho imparato a non contrastarlo se non con le dovute forme, ne ho sempre rispettato la superiorità intellettuale, lo considero, con altre Personalità che ho conosciuto, una Figura dalla quale ho tratto una costruttiva e positiva contaminazione. Hombre Vertical y Socialista, dal ragionamento articolato e mai privo di teoretico rafforzamento: iniziava con la legge elettorale per affondare il coltello nella ferita profonda dei diritti negati. Si compiaceva quando lo definivo anche nel privato, “il Pilastro del Socialismo”, definizione che tutto sommato non solo non gli dispiaceva ma che evocava una tacita malcelata approvazione. Il testimone che ci lascia ha nel suo interno molte irrisolte questioni, in specie una legge elettorale che è frutto della negazione dei diritti e di una non ancora definita “questione delle minoranze”. Come se Felice, alla maniera di Piero Calamandrei, ci avesse detto “Compagni, la Costituzione è la “Charta” più bella che abbiamo, ma non siamo riusciti a interpretarla nella sua compiutezza né tanto meno ad applicarla interamente ed è rimasta, per certi versi, un pezzo di carta”.
E poiché Felice era un amante della musica classica e operistica, non posso non abbinarlo ad un altro irriverente e non omologato degli spartiti che fu Puccini. Anche lui, come Felice con la legge elettorale, lasciò una grande Incompiuta ma il sole dell’Avvenire ripagherà questi Epigoni della Critica e dell’Etica.
Per ricordare Felice basterà mutuare l’aforisma da lui coniato negli ultimi tempi “Besostri c’è”. Hasta luego Hombre Vertical!