Ricordo di Silvia Bonucci

di Pancho Pardi - 28/05/2025
Dieci anni fa ci lasciava una animatrice della stagione dei GIROTONDI, di cui ci resta l'incrollabile foducia che ci può incoraggiare...

Mercoledì 28 maggio sono dieci anni esatti da quando Silvia Bonucci morì in un incidente stradale sulla strada costiera tra Piombino e Follonica. Dieci anni non hanno indebolito il ricordo che gli amici hanno di lei. Aveva 51 anni ma era fresca e attiva così da apparire più giovane. Dopo una vita professionale tutta dedicata alla sapienza linguistica (dalla laurea in lingue alla Sorbona, all’attività di traduttrice di libri ma anche di film, in particolare di Nanni Moretti) comparve di colpo sulla scena pubblica con i Girotondi all’inizio del 2002; aveva allora trentotto anni. Berlusconi era tornato al governo nel 2001 e aveva messo la sua maggioranza a sfornare leggi vergogna. Avevano la duplice funzione di proteggerlo dalle inchieste giudiziarie e di rafforzare il suo monopolio privato sull’informazione pubblica. A Roma un’iniziativa spontanea organizzò un girotondo intorno al Palazzo di Giustizia tra il Tevere e piazza Cavour, dove i manifestanti si tenevano per mano camminando intorno all’edificio. Fatto sorprendente, perché di solito il protagonismo civile era stato piuttosto critico nei confronti della magistratura nei decenni precedenti, in cui non erano mancati motivi a giustificare la diffidenza, soprattutto a Roma: il Porto delle nebbie. Ma ora di fronte al potere politico di un monopolista televisivo scatenato contro l’ordine giudiziario era necessario far capire alla società che la separazione dei poteri era un bene comune supremo. In perfetta sintonia, negli stessi giorni la manifestazione dei professori a Firenze portava in testa lo striscione con la scritta: “Giustizia e informazione imbavagliate, democrazia in pericolo”.

Insieme alle sue compagne (in primo piano erano soprattutto le donne) Silvia diventò in breve un volto conosciuto della protesta. La sua grazia, la naturale simpatia e l’espressione interrogativa la misero in primo piano anche se la sua vocazione era di sfuggire testardamente alle luci della ribalta. Tra generazioni di leader dei movimenti non ho mai conosciuto nessuno che più di lei non volesse “apparire”. Però, contro la sua volontà appariva, eccome! I suoi dubbi, le sue domande, le sue proposte avevano sempre qualcosa di utile. Il suo senso dell’agire collettivo costruiva fratellanza e sorellanza. Tra i primi mesi e il 14 settembre del 2002 Silvia è stata in prima fila nella costruzione della grande, irripetibile manifestazione di piazza San Giovanni quando l’intero mondo della protesta civile si riunì a Roma contro il governo Berlusconi. Per anni abbiamo continuato a incontrare ovunque persone che non avevano mai manifestato prima ma che avevano sentito il dovere di esserci quel giorno.

La fortuna del movimento è stata breve. Ma quando ha cominciato ad attenuarsi e l’immagine pubblica dei protagonisti si è affievolita, si è visto che dietro la sua presenza critica e promotrice c’era la stoffa di un’altra vocazione. Senza rinunciare all’azione politica nei confronti dei distratti e rinunciatari partiti del centrosinistra, zitta, zitta scriveva, e così quando i movimenti erano ancora bene in piedi un uscì Voci d’un tempo (e/o 2003), una sorta di storia di famiglia di ambiente triestino-egiziano, un mondo favoleggiato nella memoria parentale. Un’atmosfera che aveva nutrito le prime opere di Fausta Cialente. Ma era solo l’inizio. Nel 2006, quando i militanti dei Girotondi trovavano una nuova occasione di azione pubblica contro la riforma costituzionale di Berlusconi (meravigliosamente sconfitta al referendum), Silvia sorprendeva chi l’aspettava al varco con un’altra prova molto diversa, Gli ultimi figli (Avagliano). Non più la sua famiglia ma una storia piombinese, agricola e industriale, un ambiente inquadrato con uno stile non lontano dal realismo rarefatto di Cassola. Silvia non aveva mai abbandonato il suo lavoro nel cinema, ma al tempo stesso, accanto all’impegno politico mai sospeso, continuava a tessere la sua tela. E così nel 2011, quando si vincevano i referendum abrogativi sulla privatizzazione dell’acqua, sul nucleare e sul legittimo sospetto (legge fatta apposta per far sfuggire Berlusconi ai processi), Silvia sorprendeva ancora una volta i suoi lettori con un altro cambio di registro. Distanza di fuga (Sironi) raccontava una storia imperniata su un episodio di terrorismo delle nuove Brigate Rosse, dove amicizia, militanza politica, senso civile entravano in reciproco duro contrasto. Nel 2016 uscì poi postumo Emisferi (Fandango Libri), ancora un cambio brusco: il mondo interiore di una donna spaccato a metà e ricongiunto solo nel momento della morte. Sembra che per Silvia la scrittura dovesse obbedire a una necessità artistica: mai ripercorrere vie già battute, scrivere è gettarsi in un fiume dove le acque scorrenti non sono mai le stesse.

MicroMega ricorda Silvia Bonucci come una figura luminosa di un momento speciale nella società italiana. Allora sembrava che le forze della cultura civile potessero fare argine alla degradazione della politica e alla prevalenza dell’utile privato sull’interesse pubblico. Per qualche anno si è nutrita quella speranza. Silvia non ha fatto a tempo a sperimentare la delusione più cruda. La sua incrollabile fiducia ci può incoraggiare a non rinunciare alla lotta. La sua immagine vive nei nostri cuori.

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