Ha ragione Antonio Esposito quando scrive su queste pagine che non c’è alcun conflitto tra magistratura e politica. C’è invece un governo che in spregio della Costituzione assume nel proprio indirizzo l’attacco alla magistratura. Aggredisce persino singoli magistrati per atti dell’ufficio sgraditi all’esecutivo. Il caso Lo Voi è emblematico. È ragionevole pensare che l’iniziativa dei Servizi sia stata assunta con la consapevolezza e il beneplacito dei piani più alti di Palazzo Chigi. Dove però – ci dice Travaglio – le leggi, anche se volute dalla destra, non trovano applicazione.
È difficile capire cosa il neoeletto presidente Anm si aspetti da Meloni per la riforma della giustizia. Che da ultimo vagone aggiunto al treno in corsa è invece finita in testa al convoglio. Così è in pole position per l’approvazione definitiva, e il (possibile) voto referendario. A ben vedere, potrebbe essere la sola occasione per il popolo sovrano di avere voce sulla strategia meloniana. Sulla madre di tutte le riforme voluta da Meloni cala il fantasma del “premierato di fatto”. I soloni della destra hanno capito che non serve ridisegnare la Costituzione per rafforzare il governo e il premier. È già successo. Basta una legge elettorale opportunamente scritta per consolidare quel che oggi è, realizzando in concreto l’investitura popolare del premier con maggioranza garantita. Si eviterebbe la noia della doppia lettura della legge di revisione, con il bonus aggiuntivo di rendere il vaglio popolare un rischio marginale. Per la giurisprudenza costituzionale, un referendum totalmente abrogativo sulla legge elettorale (ordinaria) sarebbe di sicuro inammissibile, e uno parziale potrebbe incidere al più marginalmente sul testo. Quanto al restante pilastro della pulsione riformatrice – l’autonomia differenziata (Ad) – la Consulta ha provveduto dichiarando, a tutela dei cittadini chiamati al voto, l’inammissibilità per mancanza di chiarezza del quesito totalmente abrogativo sostenuto da 1.300.000 firme. Quasi come amministratore di sostegno di un popolo sovrano sì, ma non pienamente compos sui.
Su tutte le riforme si alza la richiesta pressante alle opposizioni di dare battaglia in Parlamento, ed è giusto. Ma, come ho scritto più volte, se la maggioranza rimane compatta le regole parlamentari non consentono alle opposizioni di prevalere. Al più, si può rallentare il processo decisionale, e nemmeno tanto. Alla fine, i numeri vincono. Dunque, non saranno le (sole) assemblee elettive a bloccare il disegno in atto di stravolgere il paese e la Costituzione. Così, per la giustizia è improbabile che la maggioranza apra a modifiche del testo approvato, o metta la riforma nel cassetto. Così, per l’Ad la illegittimità costituzionale di alcuni punti non rende la legge Calderoli inoperante, come alcuni pensano. Mentre la lettura costituzionalmente conforme indicata dalla Corte rimane al momento affidata per l’implementazione alle scelte di maggioranza. Né basteranno a fermare il disegno iniziative pur apprezzabili come una chat di costituzionalisti, un convegno accademico, un osservatorio sull’Ad come pare pensi la Via Maestra assemblata intorno alla Cgil. Le intenzioni, magari buone, sono a rischio di wishful thinking, come direbbero gli inglesi.
Per questo era ed è essenziale il test referendario. Non a caso, la destra lo temeva davvero sull’Ad. Non a caso ho proposto su queste pagine un nuovo referendum, con un quesito riformulato in base alla sent. 192/2024 della Consulta. Ripartirebbe dai divani che hanno dato a Calderoli oltre mezzo milione di dispiaceri. Non a caso la destra non si mostra affatto preoccupata per il caso di un (solo) referendum sulla giustizia. Non sfugge, infine, che i referendum sociali Cgil sono ben più deboli senza la sponda del voto popolare sull’Ad. Tra le opposizioni traspare qualche sollievo laddove si evitano scontri referendari considerati pericolosi e divisivi. I pontieri sono sempre all’opera. Ma sono in atto cambiamenti radicali i cui effetti non potremo evitare per la debolezza nostra e dell’Europa negli scenari geopolitici globali, resa evidente dalla telefonata Trump-Putin o dalla riunione a Ramstein. Può mai bastarci in futuro la stanca ritualità di un voto quinquennale senza un robusto concorso di partecipazione democratica e rappresentanza politica? Il referendum è più di ieri rilevante per la salus rei publicae. Chi non siede al festino con la destra al potere deve saperlo e dismettere le timidezze. In specie a sinistra.
Ricordiamo lo sketch di Totò, passivo e inerte mentre un energumeno lo picchia chiamandolo Pasquale. Richiesto del perché non abbia reagito risponde ridendo: “Io mica sono Pasquale”. Non vorremmo domani sentire da una sinistra aggredita dalla destra rampante “io mica sono la sinistra”.