La delibera del 19.02.25 ieri dell’Assemblea Legislativa regionale che impegna impegnare la Giunte ER ad esprimere al governo:
- il dissenso della R.E.R. “alla prosecuzione di qualsiasi procedimento attuativo del comma 3 art. 116 Cost.”
- la “revoca del consenso all’Accordo Preliminare 28.02.18 tra Governo e Lombardia Veneto ed Emilia- Romagna”, quindi il ritiro della sua richiesta di Autonomia regionale differenziata.
In questa svolta positiva credo abbia avuto un ruolo essenziale l’avversione allarmatissima e decisa della maggioranza dell’opinione pubblica e dell’elettorato PD in Emilia-Romagna nonché l’acuta e tenace battaglia politica, che giustamente continuerà, del Comitato NoAD E.R.
Ma a mio parere c’è un elemento di allarme.
Si tratta della proposta politica di De Pascale, avanzata nelle dichiarazioni stampa successive alla assunzione della delibera, di “spostare il confronto con la destra sulla “riforma del Titolo V”.
Una “riforma del Titolo V”, come proposta da De Pascale, con il concorso di una destra ragionevole, però, non è possibile, per il semplice motivo che la destra neofascista e atlantista di Meloni e soci non è “ragionevole”, ed è anzi impegnata con il suo elettorato e con i ceti finanziari ed imprenditoriali, sin dal suo programma elettorale ad evertere la Costituzione con il premierato, l’autonomia differenziata e la “riforma della giustizia”.
Allo stato dei fatti la proposta De Pascale devia attese e potenziali impegni su un binario morto.
Altro sarebbe avviare un serio studio sul Titolo V, ed in generale sulle autonomie, per valutare come aggiornarlo ai fini di un più esplicito raccordo con il Titolo I e, in sostanza, di una partecipazione attiva al governo della cosa pubblica dei cittadini/lavoratori e ceti popolari, ed inserirne le conclusioni in un programma di svolta democratica e costituzionale contro il governo post-democratico attuale.
Lo impongono le esperienze fallimentari già fatte con le Regioni e con le autonomie locali stesse, pur senza autonomia regionale differenziata, ma anche quelle molto positive, come nel caso del “socialismo emiliano” negli anni ’70, nonché l’ampliarsi delle materie e delle tecnologie per governo e soddisfacimento dei bisogni sociali.
Per il prosieguo della lotta al disegno governativo di autonomia regionale differenziata (di seguito ARD) occorre tener presente che non c’è in questo Parlamento, “lobbyzzato” da finanza ed imprenditoria non solo nazionali, e svuotato di ruolo dalla prassi politica della Meloni e dal sistema elettorale maggioritario in essere, una maggioranza ispirata e coinvolta nella ricostruzione e nella rinascita antifascista, come fu quando la Costituzione fu elaborata ed emanata.
Purtroppo, non c’è neanche nella società e nella sua opinione pubblica, martellata e forgiata da decenni di “predicazione” neoliberale e manifestamente diversa, anche sul piano antropologico, da quella post resistenziale.
È azzardato in presenza di tali rapporti di forza politico culturali por mano oggi a revisioni costituzionali
Una battaglia politica con possibilità di vittoria è stata resa impossibile nella sede parlamentare.
E ciò vale anche per una legge di revisione costituzionale, quale sarebbe una legge di abrogazione del comma 3 art. 116 Cost., che, peraltro lascerebbero in essere le storture degli articoli successivi al 116, come riscritti nella “riforma” del Titolo V del 2001.
Del resto, il Titolo I contiene in sé anticorpi adeguati a far fallire ogni tentativo eversivo di disattendere il dettato costituzionale se il terreno di scontro fosse una razionale e consapevole lettura del costrutto costituzionale.
Purtroppo, l’eversione è stata, ed è, perseguita nell’agire politico quotidiano a Costituzione vigente, senza sue preliminari modifiche e in barba ai suoi precetti, in maniera a dir poco disonesta sul piano intellettuale e manipolatrice sul piano “promozionale”, anche per la “debole” opposizione, culturale e politica, di chi avrebbe avuto “naturalmente” il compito di farlo (cfr. le riforme sanitarie Formigoni- Moratti-Fontana in Lombardia e la disapplicazione dell’art. 11 sul ripudio della guerra).
Una forma di lotta politica passibile di esito vittorioso su scala nazionale è quella di democrazia diretta, normata dall’art.75 Cost, cioè quella del referendum, quando riesca a diventare un grande pronunciamento popolare.
E questo sarebbe possibile nel caso della ARD, contro la quale sono state già raccolte oltre 1.300.000 di firme poi calpestate dalla speciosa sentenza 10/25 della Consulta attuale.
In questo senso va un nuovo quesito referendario di abrogazione totale della l. 86/2024, come quello proposto da Villone, riformulato in base alla sent. 192/2024 della Corte costituzionale che consentirebbe di “battere il ferro finché è caldo”.
Si potrebbero, infatti, raccogliere le firme in concomitanza con la promozione del voto a sostegno dei “referendum CGIL”, e darebbe senso e forza anche a quella mobilitazione, che sul piano politico hanno una valenza, piaccia o no, di riscossa dei lavoratori, non solo contro Meloni, ma anche verso i suoi predecessori.
E tutto dipende in Italia, per la democrazia e la Costituzione, da quella riscossa!
Qualora questa strada non convinca, e se ne cerchi un’altra, non si deve comunque perdere il collegamento con le iniziative del mondo del lavoro e si deve poter aggregare un vasto schieramento politico, sindacale ed associazionistico per ovvie ragioni di massa critica per la vittoria.