La pretesa del governo di non farsi ostacolare dai giudici nelle politiche migratorie (ma analogo discorso potrebbe farsi anche in materia di sicurezza e ordine pubblico) è la dimostrazione dell’analfabetismo costituzionale dell’attuale maggioranza.
Dovrebbe essere ben noto, infatti, che le Costituzioni rigide del Novecento hanno reso «indisponibile» a qualsiasi maggioranza la definizione dei principi in materia di diritti fondamentali e anzi è la Costituzione a chiedere al governo (in verità alla Repubblica intera) di adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale per garantite i diritti inviolabili dell’uomo. Diritti che appartengono ad ogni persona senza possibilità di distinzione per sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, tantomeno per provenienza geografica.
Dunque, i governi – ma certamente anche i giudici – non possono adottare atti in contrasto con quanto la Costituzione impone. Con riferimento alle politiche migratorie basterebbe allora leggere l’articolo 10 della nostra Costituzione.
Per comprendere l’infondatezza della pretesa del governo di impedire ai giudici di decidere in materia di migrazione autonomamente.
«Autonomamente» vuol dire non subordinato all’indirizzo politico maggioritario o impedito da norme che, seppure legittimamente poste, si pongano però in contrasto con il diritto costituzionale e internazionale. In tal modo diventerebbe, inoltre, immediatamente evidente come non si possa più continuare a seguire la strada intrapresa dall’attuale governo.
Si è contestato al Tribunale di Roma di avere applicato i principi definiti dalla Corte di Lussemburgo, che ha individuato, in base alla normativa europea, i criteri per la definizione di «Paese sicuro».
È stata ritenuta sbagliata la decisione assunta dai nostri giudici rivendicando che, non ad essi ma ai governi spetti stabilire quali siano i Paesi da considerare «sicuri». Scordando così che, non solo i magistrati, ma anche il governo è obbligato a conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (articolo 10 della Costituzione, primo comma).
Quelli posti dal giudice europeo sono principi che neppure un eventuale e preannunciato atto avente forza di legge nazionale potrebbe contrastare. Il governo dovrebbe pensarci prima di adottare – al prossimo consiglio dei ministri convocato d’urgenza per domani sera – atti che creeranno altri conflitti e alla fine verranno ritenuti illegittimi.
D’altronde, che spetti al potere giudiziario e non al potere politico la decisione ultima su quali Paesi possono essere considerati «in via di fatto» rispettosi dei diritti umani è ben comprensibile e dal punto di vista costituzionale indispensabile. Lo dimostra la modalità con cui viene predisposta dal governo la lista di Paesi sicuri: definita sulla base di una trattativa con lo Stato interessato che accetta il rimpatrio dei migranti.
Dunque, in base ad accordi di natura esclusivamente politico-diplomatica che nulla o poco hanno a che fare con le effettive garanzie prestate ai diritti delle persone. In fondo avere incluso l’Egitto nonostante il caso di Giulio Regeni, ma anche quello di Patrick Zaki, dimostra la scarsa attenzione all’effettività delle tutele e alla realtà dei sistemi giudiziari in tali Paesi.
È NECESSARIO che sia un giudice a verificare la situazione di fatto perché deve essere assicurato quel che la Costituzione impone, che non è il prevalere della ragione di stato o politiche di chiusura delle frontiere. Quel che la nostra legge fondamentale pretende è che si rispetti il diritto dei migranti di espatriare in ogni caso in cui allo straniero «sia impedito nel suo territorio l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana» (articolo 10, terzo comma).
Tutte queste persone sono titolari di un diritto perfetto ed esigibile, il diritto d’asilo, che nessuna maggioranza politica può negare. Lo prescrive non solo la nostra Costituzione, ma anche le norme internazionali generalmente riconosciute.
La legge può stabilire le condizioni per esercitare tale diritto, non lo può però negare. Che l’accertamento sia di volta in volta definito a seconda dei casi concreti da un giudice e non in via generale ed astratta dal legislatore è il presupposto per il rispetto del diritto costituzionalmente protetto.
Una considerazione conclusiva. Le politiche migratorie e il governo dei flussi sono un problema epocale, non v’è dubbio. Non è facile dare giudizi assoluti ed è palese l’incapacità sino ad ora dimostrata dai Paesi occidentali ed europei in particolare di adottare soluzioni equilibrate.
Quel che può però dirsi con certezza è che i migranti non sono merci (o «carichi residuali», come pure sono stati definiti) bensì persone, alle quali devono essere garantiti dignità e rispetto dei diritti fondamentali. Da qui dovremmo ripartire sia in Italia sia in Europa. Mi sembra che il nostro governo, ma anche l’Europa, guardino altrove.