Quel che noi chiediamo alle forze politiche è di uscire dalla retorica della costituzione, per prenderla sul serio, prendere sul serio la portata normativa del nostro patto sociale. Non è, infatti, tollerabile dividere l’Italia in nome di una isolata disposizione costituzionale, letta fuori contesto, (l’art. 116, III co) dimenticando il principio fondamentale dell’articolo 5 che impone l’unità della Repubblica, dell’articolo 3 che prescrive il rispetto del principio d’eguaglianza su tutto il territorio nazionale, dell’articolo 2 che richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Non è sopportabile che si dimentichi che la nostra costituzione dispone di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo su tutto il territorio nazionale, per andare invece solo alla ricerca delle tutele minime dei diritti sociali e civili mediante una generale e generica “determinazioni” governativa dei Lep. Riscrivendo in tal modo per intero lo stato sociale utilizzando una Cabine di regia, formalmente assistita da una Commissione, la quale, per quanto quest’ultima possa essere ritenuta autorevole, è pur sempre un organo tecnico senza rappresentanza; escludendo invece il vero organo della rappresentanza reale, che è il Parlamento.
Non è accettabile che si favorisca la precarietà perseguendo nelle miopi politiche sulla flessibilità del lavoro sin qui adottate, che si voglia cancellare qualunque forma di sostegno al reddito per i meno abbienti, che ci si rifiuti di imporre un salario minimo, che non ci si impegni in un reale e fattibile piano per il lavoro dignitoso; con la scusa magari di favorire la libera iniziativa economica privata ovvero la falsa illusione che siano le imprese a creare lavoro. Dimenticando in tal modo gli obblighi costituzionali, i quali impongono alla Repubblica di promuovere le condizioni per rendere effettivo il diritto al lavoro; trascurando il diritto ad una retribuzione che sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa; venendo meno al dovere di garantire i mezzi adeguati alle esigenze delle persone nei casi di disoccupazione involontaria, come sono quelle di natura strutturale, diffuse in un tempo in cui è impossibile immaginare la piena occupazione.
Non sono ammissibili le politiche migratorie e securitarie che operino in contrasto con il diritto di asilo per tutti coloro a cui è impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, non solo dunque per i rifugiati politici, ma anche per chi fugge dalla miseria estrema, ove viene di fatto compromesso il diritto primordiale alla vita. La nostra Costituzione non ha solo previsto il diritto d’asilo, ma anche quello di accoglienza che deve essere regolato a casa nostra, non respingendo in mare i naufraghi facendo così, con essi, affogare anche la nostra umanità.
Ma per vivere bisogna anche poter abitare. Non si può allora accettare che ci si occupi solo di efficientamento, agevolazioni o esenzioni per chi la casa ce l’ha e non anche delle garanzie necessarie per chi ne è privo: favorire il diritto all’abitazione è un dovere costituzionalmente imposto.
Così come è insopportabile vedere lottare con ferocia e vigore contro la micro-criminalità, assistere al moltiplicarsi delle fattispecie di reato per fenomeni di scarsa o nulla pericolosità sociale, dimenticando la lotta alla macro-criminalità e alla mafia. Infine, non è decoroso che si scriva in costituzione il diritto all’ambiente e poi si persegua in un modello di sviluppo che non subordini l’iniziativa economica privata alla tutela della natura e dell’eco-sistema.
Potrei proseguire parlando di sanità a fronte della riduzione degli stanziamenti ad essa dedicati o di pace dinanzi all’aumento delle spese militari. Potrei proseguire a lungo, ma mi fermo per fare un appello, e chiedere a voi – alle forze politiche – se siete disposti ad assumervi la responsabilità di cambiare rotta, di intraprendere (o forse solo riprendere) un viaggio che abbia la costituzione come stella polare.
Molti errori, molte sottovalutazioni, sono state fatte in passato, noi non chiediamo però a nessuno autocritiche per il passato, ma impegni concreti per il futuro. Il nostro è un appello alla responsabilità della politica, ma anche un’offerta di aiuto. La nostra rete di associazioni ha elaborato un’agenda sociale in nome della costituzione, ha – ritiene di avere – nei suoi mille movimenti ed associazioni le competenze necessarie per poterla realizzare. Ma non crediamo sia facile e sappiamo di non poterlo fare da soli.
Per questo vi proponiamo un tavolo di confronto permanente. Non un ennesimo luogo effimero d’incontro, non passerelle per anime belle, ma un luogo di elaborazione collettiva per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (come ancora dice la nostra costituzione)
Non vogliamo parlare a noi stessi. Se non ci vorrete ascoltate, discutere, magari – perché no – dissentite nel rispetto reciproco; se l’intenzione nascosta fosse solo quella di proseguire nella retorica (foss’anche, un’altra retorica rispetto a quella dominante); se il proposito fosse quella di varare solo un’ennesima inutile commissione d’esperti e non un vero tavolo d’incontro, di elaborazione di strategie comuni, luogo di formazione di un pensiero critico del reale, di quella che Ernst Bloch ha chiamato un’«utopia concreta», se non avete buone intenzioni, per favore ditecelo. Noi il tavolo non lo apriremo, e cercheremo altre strade. Non lo diciamo con arroganza, tutt’altro. Ma solo nella consapevolezza che la democrazia è oggi ad una svolta. E questo non è allarmismo, ma solo realismo.
Si tratta in fondo solo di capire da che parte si vuole stare, se da quella della costituzione democratica, pluralista, conflittuale e antifascista, oppure dalla parte di una costituzione invertebrata, bonne à tout faire, a-democratica, a-fascista.
Unicuique suum: ognuno deve ottenere ciò che gli è dovuto! Rimaniamo in attesa del vostro riscontro.
*Intervento svolto il 22 aprile all’assemblea tra le associazioni e le forze politiche alla Casa internazionale delle donne organizzata dalla “Rete dei numeri pari”