Da Corbyn a Wall Street, il nuovo verbo mondiale è ridistribuire ricchezza

di Massimo Nava - linkiesta.it - 07/09/2019
Da Corbyn a Wall Street, dal salario minimo al reddito di cittadinanza, il mondo progetta la ridistribuzione della ricchezza verso le fasce meno protette. Ispirazione Marxista o salvaguardia liberale?

Se Jeremy Corbyn vincesse le prossime elezioni anticipate in Gran Bretagna, è essai probabile che la tomba di Carl Marx a Londra sarebbe meta di affollati pellegrinaggi, mentre si moltiplicheranno le petizioni per un busto di marmo al centro della City. Il leader labourista propone infatti un rivoluzionario “trasferimento” di ricchezza dalle principali società ai dipendenti, circa 300 miliardi di sterline in azioni, con il duplice vantaggio di aumentare il potere di acquisto dei lavoratori e consentire una maggiore partecipazione nella gestione dell’azienda.

Questa e altre misure, per quanto di complicata applicazione, escono dalla sfera dell’utopia e della riscoperta post ideologica del marxismo per entrare a pieno titolo nel dibattito politico/economico della Gran Bretagna, con o senza Brexit, nel presupposto fondato che - con Corbyn o con Johnson - nulla sarà più come prima.

Non è casuale che il piano di Corbyn sia stato illustrato dal Financial Times quasi in contemporanea con le conclusioni della Businnes Roundtable americana, il “club” che riunisce decine di top manager delle principali società quotate a Wall Street, da Apple a Amazon a JP Morgan. In sintesi, la parola d’ordine, che sancisce un impegno, è “ridistribuzione”.

Lo scopo dichiarato è di invertire la piramide - considerata anacronistica e non più sostenibile - nella gerarchia dei profitti, sempre più vertiginosi per azionisti e manager, infimi e comunque molto bassi per gli ultimi gradini degli organici aziendali.

E non è casuale che il dibattito sulla “ridistribuzione” abbia ripreso corpo e consenso, saldandosi di fatto con l’altra colonna portante di un nuovo equilibrio sociale : il salario minimo, nelle sue varie forme, dal reddito d’inclusione al reddito di cittadinanza, dai contributi sociali - declinati in varie forme e secondo diverse categorie e molto diffusi in Germania, Francia e in generale nel nord Europa - alle misure fiscali per i redditi più bassi, per le famiglie monoparentali, per i giovani precari.

In questo quadro, occorre aggiungere la conferma - a livello europee - di politiche monetarie espansive, le riflessioni sempre più condivise attorno a un’Europa più inclusiva e solidale, il probabile allentamento in Germania dei rigori di bilancio per fare fronte alla recessione e all‘ urgenza di investimenti in infrastrutture pubbliche.

Le proposte sono differenziate, la loro applicazione risulta spesso controversa e complicata (vedi reddito di cittadinanza in Italia), di sicuro costosa e non sempre efficace, ma se mettiamo tra parentesi il compito dei politici (di elaborare progetti credibili, realizziabili, non demagogici) e dei burocrati ( di costruire normative applicabili e controllabili) possiamo concludere che il verbo “ridistruibuire” abbia fatto breccia in mondi e poteri opposti ed è oggi al centro della riflessione di economisti, intellettuali e top manager non certo omogenei per formazione e ruolo nelle società in cui vivono.

Depurato da riserve mentali e polemiche politiche, il concetto di ridistribuzione è un filo che tiene insieme Mark Zuckerberg e Picketty, Casaleggio e Varoufakis e in questi giorni Corbyn e gli gnomi di Wall Street.

Ed è probabile che la nascita del governo giallorosso favorisca una riflessione più serena anche sulla misura faro del M5S, il reddito di cittadinanza, favorendone la versione più compatibile con i conti pubblici e l’equità sociale.

Chiunque, nella strana coppia Corbyn Wall Street, può vederci qualche cosa di etico o di post ideologico, ma molto probabilmente la molla che ha stimolato una riflessione coraggiosa e forse la possibilità di nuovi orizzonti nella struttura delle società occidentali è una sola : la sopravvivenza della democrazia liberale, che ha il suo corollario nella convivenza civile, nello sviluppo ordinato e nella logica di mercato e di profitto. E’ in altri termini una presa d’atto, culturalmente responsabile, che la democrazia liberale è drammaticamente minacciata da tre nemici estranei fra loro che tuttavia l’attaccano contemporaneamente da più fronti : il populismo sovranista, che delegittima le classi dirigenti e mina dall’interno le basi della convivenza civile ma che ha una formidabile base di consenso nelle classi popolari impoverite ; la globalizzazione finanziaria che ha devastato le classi medie e allargato a dismisura la forbice fra ricchezza e povertà; la rivoluzione informatica e biologica che - sviluppando sempre più l’economia della conoscenza e l’automazione - distrugge posti di lavoro e trasforma la maggioranza dei cittadini lavoratori in consumatori non produttori. Non è quindi necessario scomodare nè rivalutare Marx, per comprendere come la democrazia liberale rischi di divorare se stessa, di autodistruggersi con il suo stesso velocissimo e incontrollato progresso.

Non è più importante salvare la salumeria sotto casa dalla voracità distributiva di Amazon, ma avere una carta di credito o un bonus sociale per ordinare il prosciutto online.

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