Dal G20 esce una soluzione ridicola alla crisi climatica e alle diseguaglianze globali

di Paolo Maddalena - ilfattoquotidiano.it - 02/11/2021
Il nemico del Popolo italiano, sia ben chiaro, è la privatizzazione di beni e servizi, che comporta la cessione di tali beni e servizi dalla proprietà pubblica del Popolo italiano alle S.p.A., di modo ché non è più proprietario il Popolo, ma i soci che fanno parte della S.p.A.

È noto che il problema numero uno dell’umanità è l’innalzamento della temperatura del clima terrestre, al quale si aggiunge quello della diseguaglianza economica fra ricchi e poveri e fra Stati ricchi e Stati poveri.

Per quanto riguarda il clima, il G20, nel quale significativa è stata l’assenza di Cina e Russia, non è arrivato a nessuna conclusione effettivamente valida. Si è infatti approvata la indebita soluzione secondo la quale l’aumento, e non la diminuzione dell’inquinamento atmosferico, non debba superare 1,5 gradi di temperatura.

In un momento in cui imperversano uragani mai visti e la temperatura è in costante aumento, con una curva in salita spaventosamente elevata negli ultimi sette anni, mentre sono scomparsi quasi del tutto i ghiacciai delle Alpi e dell’Himalaya, e addirittura i Poli si sciolgono ad una velocità impressionante, la soluzione adottata appare ingannevole se non ridicola. Sarebbe necessario lo stop immediato dell’emissione dei gas serra, e specie del Co2, e invece si considera lecito un ulteriore aumento della temperatura.

Questo dipende dal fatto che l’egoismo, che ha trovato la sua attuazione attraverso il sistema economico individualista, cinico, immorale e incostituzionale del neoliberismo, oramai si è impossessato delle menti di tutti gli uomini, i quali proclamano la loro libertà individuale senza pensare che in tal modo si va tutti all’autodistruzione, poiché l’uomo è parte della natura e la distruzione di questa significa distruzione anche della vita umana.

Quanto alle disuguaglianze, incredibile è l’atteggiamento finora tenuto dai nostri governi, compreso l’attuale, i quali si sono disinteressati della sorte dei lavoratori, di fronte al fallimento e soprattutto alla delocalizzazione di imprese appartenenti a fondi internazionali o a multinazionali straniere, e si sono occupati solo dell’aspetto assistenziale, consistente nella cassa integrazione e nell’accorciamento dell’età ai fini della pensione, con una ricaduta estremamente pesante su tutti i cittadini. Come ho più volte ripetuto, ciò dipende dal fatto che il mercato generale, nella massima parte finanziarizzato – cioè costituito da titoli di credito, che meglio si definirebbero di debito – ha raggiunto una potenza economica venti volte maggiore del Pil di tutti gli Stati del mondo, sicché l’economia impone essa stessa le sue leggi al diritto.

La situazione è talmente drammatica che al momento l’Italia può soltanto difendersi dagli assalti del mercato generale ed esiste un solo strumento a questi fini: la nazionalizzazione dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia, delle situazioni di monopolio e delle industrie strategiche (art. 43 Cost.). Si tratta di ricollocare fuori commercio, come era quando esisteva il sistema economico di stampo produttivo keynesiano, tutti quei beni e servizi che sono costitutivi e identificativi dello Stato Comunità, costituendo la proprietà pubblica demaniale del medesimo.

Su questo punto, come dicevo, i governi sono stati del tutto assenti.

È peraltro da segnalare un’altra possibilità per i lavoratori, quella di ricorrere all’autogestione, almeno delle piccole e medie imprese, oggetto di delocalizzazione da parte dei proprietari stranieri. È possibile, come è avvenuto in 85 casi, di cui soltanto tredici non sono riusciti nell’impresa, ricorrere alla legge Marcora (1985) che consente la liquidazione dell’indennità di disoccupazione, prevista per 24 mesi, non a rate, ma complessivamente in una unica elargizione iniziale. Con questi denari i lavoratori si sono costituiti in cooperativa e hanno fatto sopravvivere l’impresa nella quale lavoravano.

A mio avviso il governo non può dimenticare quanto gli impone l’articolo 43 della Costituzione, secondo il quale questo trasferimento della gestione a comunità di lavoratori (o anche di utenti) deve avvenire per legge, e non solo per le piccole e medie imprese, ma anche per le grandi imprese. Non tener conto di questa possibilità significa avere gli occhi bendati dal pensiero predatorio neoliberista, che scarica tutte le perdite sul Popolo e non pensa di investire il patrimonio del Popolo stesso in attività produttive: come è avvenuto in tanti casi e in modo assolutamente inconcepibile per la privatizzazione di Alitalia, dove la richiesta dei voli è in grande ascesa e il governo, anziché sfruttare questa fonte di guadagno, ha ridotto da tre miliardi a un miliardo e trecento milioni l’importo per la costituzione della nuova compagnia Ita.

A mio avviso sarebbe necessario un massiccio intervento dello Stato nell’economia, invero non vietato dai Trattati europei – come molti ritengono – e che si è realizzato negli anni ’60 attraverso l’Iri, quando l’economia italiana si è collocata al quarto posto nella classifica delle economie mondiali.

Il nemico del Popolo italiano, sia ben chiaro, è la privatizzazione di beni e servizi, che comporta la cessione di tali beni e servizi dalla proprietà pubblica del Popolo italiano alle S.p.A., di modo ché non è più proprietario il Popolo, ma i soci che fanno parte della S.p.A. In altri termini è eliminato il fine sociale, imposto dalla Costituzione, ed è perseguito il fine individuale e spesso asociale di singoli speculatori.

Come al solito invoco l’attuazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 41, 42 e 43 della nostra Costituzione repubblicana e democratica.

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