Ha preso il via in queste settimane una serie di incontri fra reti, comitati, realtà associative e di movimento, organizzazioni sociali, finalizzati alla progressiva costituzione del comitato promotore della campagna Riprendiamoci il Comune, percorso che durerà fino a tutto il mese di novembre, mentre la campagna in quanto tale partirà a metà gennaio del prossimo anno.
Di cosa si tratta? Come insegnano le crisi plurime di questo modello -dalla pandemia, alla crisi climatica, dalla povertà all’emergenza sociale- per uscire dall’economia del profitto e costruire la società della cura occorre partire dai territori e dalle comunità locali, là dove le persone vivono e possono essere partecipi dirette della costruzione di un altro modello sociale, ecologico e relazionale.
Decenni di politiche liberiste e di austerità hanno profondamente squassato le comunità locali, ingabbiando i Comuni dentro la trappola del patto di stabilità e del pareggio di bilancio finanziario e minando la loro storica funzione pubblica e sociale.
La cementificazione dei suoli, la mercificazione dei beni comuni, l’esternalizzazione e la privatizzazione dei servizi pubblici locali, i tagli alle risorse sociali sono tutte dirette conseguenze di un’idea di Comune non come luogo della democrazia di prossimità, bensì come motore della penetrazione degli interessi privatistici e finanziari dentro le comunità territoriali.
Il risultato di questi processi è lo spaesamento (letteralmente, la perdita del paese, delle radici) delle persone e la trasformazione delle comunità territoriali in luoghi anonimi di individui brulicanti e rancorosi.
La campagna Riprendiamoci il Comune vuole invertire la rotta e, attraverso la proposta di due leggi d’iniziativa popolare, vuole costruire un percorso di consapevolezza diffusa e di coinvolgimento dal basso per trasformare Comuni e comunità territoriali in fulcro di un nuovo modello in grado di rispondere alla drammaticità della crisi sociale e della crisi eco-climatica.
La prima proposta di legge si propone una profonda riforma della finanza locale, sostituendo al pareggio di bilancio finanziario il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere, eliminando tutte le norme che oggi impediscono l’assunzione del personale, re-internalizzando i servizi pubblici, difendendo il suolo, il territorio e il patrimonio pubblico e dando alle comunità territoriali gli strumenti di autogoverno partecipativo.
La seconda proposta di legge si propone la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, trasformandola in ente di diritto pubblico decentrato territorialmente e mettendo a disposizione dei Comuni e delle comunità territoriali le ingentissime risorse del risparmio postale (280mld) come forma di finanziamento a tasso agevolato per gli investimenti partecipativamente decisi.
Due proposte complementari, in grado di intervenire in maniera sistemica su tutti i nodi che oggi svuotano i Comuni di ogni significato e costringono la vita delle persone dentro la dimensione della solitudine competitiva.
Due proposte capaci di parlare ai diritti sociali, ecologici e relazionali delle comunità territoriali, ai diritti e ai saperi del lavoro pubblico, alla capacità di ascolto e permeabilità di quella parte di amministratori e amministratrici locali che ancora collocano la propria funzione dentro la dimensione del prendersi cura.
Due proposte in grado di far convergere tutte le vertenze territoriali nel comune obiettivo di trasformare alla radice il ruolo della partecipazione, dell’autogoverno e della democrazia di prossimità.
Perché non è la resilienza a cambiare il mondo, ma comunità di cura capaci di lotta e trasformazione.