Hai voglia a girarci intorno, alla fine è una questione di soldi. I soldi stanno alla base delle scelte del governo, delle proteste di piazza, delle proposte avanzate dalle categorie (ognuno per i fatti suoi e in ordine sparso, mi raccomando). Ti rinchiudono in casa ma puoi anzi devi uscire per andare a guadagnare soldi, magari imbarcandoti su un mezzo stipato all’inverosimile per una questione di soldi; se ti dice male ti becchi il virus e non trovi neanche un letto in ospedale perché non sono stati stanziati abbastanza soldi.
Non la facciamo più complicata di quello che è. Il Covid ci sta costringendo a uno scambio atroce: stiamo barattando vite umane con soldi.
Se non la capiamo adesso non la capiamo più: i soldi sono merda, sono il nemico peggiore. Non è un delirio mio: faccio parte di quel pezzo di generazione che una ventina d’anni fa ha cercato di farlo capire al mondo, inascoltata e sconfitta.
Facciamo a capirci: chiunque non arrivi da Plutone sa che i soldi hanno un valore e qui nessuno si sogna di negarlo. Il problema è che per noi, nessuno escluso, i soldi sono diventati un valore. È una cosa molto diversa. Traduco in termini pratici. Se scendo in piazza a protestare dicendo che sono disponibile a restare chiuso in casa purché pagato è un conto; se lo faccio per pretendere che alcuni soldi vengano destinati per intero a sanità, servizi e reddito è tutto un altro discorso. Se rivendico tempi e spazi di vita indispensabili è un discorso, se metto nella stessa frase – come è successo – la parola libertà e il diritto di andare a lavorare (sic) non ci siamo proprio.
Il sistema sta mostrando tutti i suoi limiti. Mettiamocelo in testa: dovremo imparare a stare bene con meno cose – ed è tutto da dimostrare che sarà peggio – e nessuno deve essere lasciato solo. Traduco di nuovo: finché i sostegni economici (che sono una partita di giro, smettiamola di farcela raccontare: la cassa integrazione sono soldi dei lavoratori, i bonus alle partite Iva sono soldi che arrivano dalle partite iva…) sono concessi sulla base di contratti lavorativi, fatturati e posizioni fiscali non ne usciamo. Le risorse ci sono, vanno prese dove stanno – sì, sto parlando di patrimoniale, tassazione degli scambi finanziari e delle rendite, tassazione alle grandi aziende – e messe a disposizione delle persone, di tutte le persone a prescindere dal modo in cui si guadagnavano da vivere prima.
Il mondo è cambiato, le nostre vite sono cambiate, dovremmo cominciare a capire che non può essere un contratto o un fatturato a definirci. Solo così possiamo uscirne, tutti. Perché ora è chiaro che prima non andava così bene, adesso va decisamente male e dopo potrebbe andare molto peggio. A meno che non ci si decida tutti a dire, una volta per tutte: vaffanculo i soldi.