“Andrà tutto bene!” avevano annunciato i governi, quando un minuscolo essere vivente, il Coronavirus-2, inceppando tutti i meccanismi della globalizzazione, aveva rinchiuso in casa più di metà della popolazione mondiale e bloccato tutti i flussi economici, produttivi, dei trasporti e della comunicazione.
È andata così bene che, dopo oltre 520 milioni di contagi, 6,3 milioni di morti e due anni di restrizioni della vita sociale, siamo precipitati dentro una guerra al centro dell’Europa, provocata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma alimentata da molteplici attori istituzionali, statuali e militari, nessuno dei quali sembra volervi mettere fine, e che rischia di far precipitare tutte e tutti dentro l’orizzonte di una terza guerra mondiale.
Come in un tempo sospeso, in questi ultimi quindici anni siamo passati da una crisi finanziaria a una crisi sociale, da una pandemia ad una guerra, senza soluzione di continuità. E, sullo sfondo ma in maniera ormai non più rimovibile, ci troviamo immersi in una crisi eco-climatica che rischia di pregiudicare nell’arco di un tempo sempre più prossimo le stesse condizioni della vita umana sulla Terra.
È questo l’esaltante risultato dei concetti simbolo –globalizzazione, liberalismo, mercato- portati avanti in questi decenni dal World Economic Forum, quali ricette per “un mondo più ricco e pacifico”.
Il World Economic Forum è tornato a Davos per riunire il gotha del capitalismo globale, oltre a 50 capi di stato e di governo e 250 ministri provenienti da tutto il mondo (questa volta senza un grande amico del WEF, Vladimir Putin).
Se il WEF fosse dotato di onestà intellettuale dovrebbe dichiarare il proprio totale fallimento –nessun mondo più ricco e pacifico è all’orizzonte- o, finalmente, togliere la maschera e dichiararsi per quello che è: un congresso dei più potenti uomini d’affari del pianeta che ogni anno autocelebra la propria ricchezza e cerca di capire come proseguire la rotta, fingendo di non vedere gli iceberg che circondano la nave.
Come ci racconta l’ultimo rapporto di Oxfam International, sono 573 i nuovi miliardari prodotti dalla pandemia, mentre ulteriori 263 milioni di persone sono scivolate sotto la soglia della povertà estrema.
La ricchezza dei miliardari è aumentata, in termini reali, più nei 24 mesi di Covid-19 che nei primi 23 anni delle rilevazioni di Forbes ed è ora equivalente al 13,9% del Pil mondiale, una quota più che triplicata dal 4,4% del 2000. E la giostra continua, con la guerra che amplifica le fortune delle società che controllano la produzione di armi e delle grandi imprese del settore alimentare e dell’energia.
Decenni di liberalizzazioni, di deregolamentazione della finanza e del mercato del lavoro, di privatizzazioni di beni comuni e servizi pubblici, di relazione predatoria con la natura, hanno prodotto l’esito del decantato trittico “crescita, competitività, concorrenza”: un mondo profondamente diseguale, in cui i pochi hanno tutto e minacciano la stessa continuità della vita sul pianeta.
Non sappiamo se dopo Davos brinderanno o se, ancora una volta, metteranno la maschera dei filantropi e faranno finta di essere preoccupati per le sorti del mondo. Quasi sicuramente continueranno a comportarsi come quell’uomo che, precipitando dal 50esimo piano di un grattacielo, ad ogni piano ripete a se stesso “Fin qui tutto bene”, senza rendersi conto che il problema non è la caduta, è l’atterraggio.
Al mondo delle molte e dei molti il compito collettivo di sottrarsi e di riprendere la navigazione verso una rotta radicalmente altra.