Figure mitologiche antichissime, i draghi da sempre incutono timore, sia che simboleggino la saggezza e la nobiltà come nelle culture orientali, sia che rappresentino i divoratori del mondo come nelle culture occidentali.
Non sorprende dunque che anche il contemporaneo Mario Draghi faccia riemergere un timore ancestrale, paradossalmente espresso dalla schiera dei suoi adulatori: come spiegare altrimenti le costanti sottolineature del lato umano della persona “che ha avuto un attimo di commozione al momento dell’incarico” o “che al liceo passava i compiti ai compagni”?
Lo stesso meccanismo si riproduce intorno al dilemma su che farà Draghi da capo del governo. Non dovrebbe essere difficile immaginarlo, dato il curriculum del “nostro” e una lineare carriera al servizio dell’espansione dei mercati finanziari nella società; invece, anche qui, assistiamo alla spasmodica ricerca del dettaglio di discontinuità, tra chi sottolinea la laurea di gioventù con Federico Caffè e chi, improvvisandosi archeologo, rintraccia la riga del tal articolo, da cui traspare un’attenzione al destino dei poveri.
Per capire cosa ci aspetta, può essere utile rifarsi all’ultimo rapporto -dicembre 2020- del “Gruppo dei Trenta”, organizzazione privata formata da importanti economisti e finanzieri internazionali, tra i quali Mario Draghi.
Il rapporto parte dall’aumento del debito delle imprese, reso esponenziale dagli effetti della pandemia, e dalle conseguenti difficoltà del sistema bancario, che si ritrova stracolmo di crediti deteriorati.
Che fare dunque, secondo l’autorevole pensatoio? Il compito del pubblico dev’essere il sostegno al sistema finanziario, attraverso la creazione di istituti ad hoc (bad bank), sui quali convogliare i crediti inesigibili delle banche, in modo che queste possano sostenere la ripresa dell’economia. Ripresa che non dovrà essere indiscriminata, bensì affidata alla “distruzione creativa” del capitalismo, in base alla quale solo le imprese redditizie dovranno essere sostenute, abbandonando le altre al loro destino. A chi sarà affidato il compito di giudicarne la redditività? Al mercato, ça va sans dire. E che ne sarà delle centinaia di migliaia di persone che perderanno il lavoro? A loro il rapporto dedica una riga (per la gioia degli archeologici adulatori) per proporre interventi generici di riqualificazione.
Proviamo in poche righe a immaginare un altro scenario, che parta dalla crisi epocale provocata dal cambiamento climatico e dalla diseguaglianza sociale: l’intero sistema produttivo andrebbe rivoluzionato per mettere agricoltura, industria e terziario al servizio della cura del pianeta, della società e delle persone. Anche questo scenario comporterebbe una distruzione creativa, (chiusura di attività nocive e apertura di attività ecologicamente e socialmente orientate) ma di segno diametralmente opposto: sarebbero le collettività e non il mercato a decidere ‘cosa, come, dove e perché’ produrre, mentre il sistema bancario e finanziario, socializzato, sarebbe messo al servizio dell’interesse generale e la garanzia di un reddito di base per tutte le persone permetterebbe una transizione veloce e condivisa.
Solo fantasticherie? La cifra del governo Draghi rappresenta un salto di qualità dei poteri finanziari con l’obiettivo di imporre tre direzioni di marcia: drenare tutte le risorse pubbliche a favore delle imprese competitive sui mercati internazionali, creare le premesse per il ripristino prima possibile della gabbia del debito e delle politiche di austerità, approfondire l’espropriazione di democrazia.
Se il realismo è un caldo invito a impugnare il violino e accomodarsi sul ponte del Titanic, è questo il momento di immaginare e di agire per la vita e la sua dignità.