Arranca ancora il disegno di legge per la concorrenza. Ieri una giornata quasi intera di riunioni in Senato ha prodotto l’intesa politica su un pacchetto di articoli, ma le votazioni in commissione Industria non sono comunque partite in attesa che si risolvano altri temi controversi e sono destinate a slittare alla prossima settimana. Il punto, interessante per capire la piega che prende una delle riforme cruciali del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è che la direzione sembra essere un ridimensionamento della portata liberalizzatrice rispetto al testo che era uscito dal consiglio dei ministri. Accade nel caso dei servizi pubblici locali ad esempio. E fino a ieri sera maggioranza e governo hanno battagliato sulle concessioni idroelettriche, con una riscrittura in via di definizione che di fatto limiterebbe la portata delle gare.
L’articolo 6, relativo alla delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali, perde uno dei punti qualificanti cioè la previsione tra i criteri della delega, per gli appalti sopra soglia comunitaria, di una motivazione anticipata da trasmettere all’Antitrust in caso di ricorso alla gestione in-house del servizio quindi con rinuncia al mercato. Resta solo una motivazione qualificata, praticamente ex post. Non passa però l’ulteriore paradossale tentativo di gran parte della maggioranza di estendere la motivazione anche al caso opposto, cioè alla decisione di indire una gara. Su questo è arrivato il no di Palazzo Chigi. «La battaglia per il mercato in questo paese è sempre difficile - dicono Luigi Marattin di Iv e Matteo Richetti di Azione - ma almeno abbiamo evitato in un provvedimento che si chiama “concorrenza” che ci sia scritto che gli enti locali devono giustificarsi quando scelgono la concorrenza».
Ma non è l’unico passaggio dell’articolo 6 ritoccato dopo il lungo confronto tra governo e maggioranza. Di fronte alle pressioni di alcuni parlamentari, a partire da quelli di Leu, per ottenere adeguate tutele sul servizio di gestione dell’acqua, sarà specificato che dovranno essere tenute in «adeguata considerazione» le differenze tra i servizi di interesse economico generale a rete e gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica, anche ai fini «della scelta tra autoproduzione e ricorso al mercato». Insomma, un insieme di paletti che potrebbero limitare il governo nell’esercizio della delega. Si nota anche quando, alla previsione di criteri per l’istituzione di regimi speciali o esclusivi in conformità alla normativa Ue, si aggiunge il passaggio che tiene in considerazione le «peculiari» caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale «che non permettano un efficace e utile ricorso al mercato».
Su altre derive anti-concorrenziali il governo ha tenuto il punto. Ha definito non percorribile, ad esempio, l’introduzione di un divieto generale di alienazione della proprietà pubblica che pure era emerso tra le proposte della maggioranza e ha frenato sul tentativo di riscrivere le clausole sociali per l’occupazione in modo che fossero una preferenza de facto per il rinnovo del gestore uscente. Tra le altre novità c’è un esteso ricorso ai pareri dell’Authority dell’energia e delle reti (Arera) nella definizione della delega, precisando inoltre che sono salve in ogni caso le sue competenze in materia di regolazione economico-tariffaria e della qualità del servizio.
Si capirà oggi invece in che misura l’esecutivo reggerà l’urto sulle concessioni idroelettriche. Le gare regionali fortemente difese dalla Lega dovrebbero restare in piedi, nella forma attuale o rivisitate secondo il modello del project financing, ma solo se la maggioranza (Pd e M5S i più determinati) otterrà da Palazzo Chigi una riscrittura convincente che permetta realmente di applicare i poteri speciali del governo, il cosiddetto golden power, anche in questo ambito.
Carmine Fotina