Il professore Éric Toussaint ha scritto e coordinato con Damien Millet un’opera intitolata “Il debito o la vita” (edizioni Aden/CADTM). Alla vigilia della manifestazione degli Indignati/e questo sabato 15 ottobre in molte città europee, il cui epicentro sarà Bruxelles, le questioni del debito sovrano e la crisi della zona euro acquistano un’importanza maggiore. Toussaint, presidente del Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo (CADTM), presenta nel suo ultimo libro le sue previsioni in merito alla situazione che attraversa attualmente l’Europa e che, secondo lui, non è troppo distante da quella che hanno attraversato i paesi dell’America Latina durante gli anni 1980 e 1990.
Il titolo dell’opera è “Il debito o la vita”. Messa così sembra che qualcuno ci stia derubando.
Ci derubano, effettivamente. I grandi azionisti delle banche godono ancora oggi di tutta la libertà che desiderano, a dispetto della crisi e degli aspetti più controversi della loro attività che hanno, ricordiamolo, provocato la crisi del 2007, iniziata negli Stati Uniti e che si è propagata all’Europa. Nonostante le loro attività nefaste, nessuno ha mai realmente preso delle misure per disciplinare queste istituzioni e molte di queste si sono ritrovate sull’orlo del fallimento, come la banca franco-belga Dexia, che è stata salvata per la seconda volta, giusto tre anni dopo un primo salvataggio. Bisogna tener conto del fatto che le istituzioni bancarie sono così strettamente connesse che il fallimento di una o due di esse può avere un effetto disastroso sull’insieme del sistema finanziario. Non bisogna prendere sotto gamba i pericoli attuali a questo proposito.
Perché i mercati non se la prendono con la Francia e la Germania, il cui debito pubblico è superiore a quello della Spagna?
I mercati, ossia le grandi banche, i fondi pensionistici, le compagnie assicurative, quelli che si chiamano investitori istituzionali, speculano sugli anelli deboli dell’Unione Europea, e gli anelli deboli sono in questo momento paesi come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna e l’Italia. Non c’è alcun dubbio che da qui a un anno, oppure meno, si speculerà ugualmente sulla Francia e sul mio paese, il Belgio. Credo sia questione di mesi o di settimane nel caso del Belgio. Il suo spread supera attualmente 200 punti di base. È più facile prendersela prima con gli anelli più deboli che con quelli più forti di una catena. Questo non vuol dire che i mercati si fermeranno. La Spagna e l’Italia saranno i prossimi, poi la Francia e infine la Germania. Nessun paese in seno all’Unione Europea può credersi al riparo dai mercati, che agiscono in totale libertà per trarre profitto dalla situazione e ottenere dei benefici a breve termine. La cosa grave è che questi stessi speculatori si trovano oggi in una situazione di fallimento virtuale. È scandaloso.
I paesi salvano le banche e queste stesse banche li attaccano?
Esattamente. Gli stati aiutano le banche a destabilizzarli. È la pura verità, non si tratta di una visione ideologica, è quello che sta succedendo.
Questo porterebbe a dire che il sistema si nutre di sé stesso.
In un certo senso, poiché per le banche e le altre istituzioni finanziarie l’unica cosa che conta è di massimizzare i profitti a breve termine. Non hanno una visione a lungo termine, perché credono che i rischi presi a medio e lungo termine saranno sostenuti dalle istituzioni pubbliche per ridurre o eliminare le loro perdite.
Da presidente del CATDM, pensa che abbiamo tratto insegnamento dai trenta anni di aggiustamento strutturale in paesi come l’America latina?
È evidente che i governi europei non vogliano trarre insegnamento da trenta anni di neoliberismo in America latina. A partire dalla Commissione Europea (CE) fino ai governi nazionali, fra gli altri lo Stato spagnolo, si mettono in pratica politiche d’aggiustamento, di riduzione delle spesa pubblica che deprimono la domanda globale e generano una bassa crescita o semplicemente una recessione. Anche la Germania che aveva saputo trarre vantaggio da questa situazione ottenendo un surplus commerciale rispetto ai paesi della periferia europea (Grecia, Portogallo, Spagna), incontra ora delle difficoltà economiche. Si applica lo stesso tipo di politica ovunque in Europa e il modello basato sulla crescita alimentata dall’aumento delle esportazioni non funziona più, semplicemente per il fatto che tutto il mondo fa la stessa cosa. Sono stato cinque volte in America Latina dall’inizio della crisi e molti alti rappresentanti di governi diversi mi hanno chiesto: “Com’è possibile che i governi europei non hanno tratto insegnamento dalla nostra esperienza e si accingono a ripetere gli stessi errori?”
Che paralleli traccia fra il piano d’aggiustamento strutturale del FMI in Africa e i piani d’austerità in Europa?
Credo che ci sia un parallelismo evidente. Si applicano in Europa le stesse misure del Congresso di Washington. In che consistono queste misure? Riduzione della spesa pubblica, licenziamenti massicci di funzionari, forti privatizzazioni, aumento delle imposte indirette come l’IVA, riforme del mercato del lavoro e dei sistemi pensionistici (questo fu il caso di parecchi paesi dell’America latina, mentre in Africa non c’è mai stato un sistema previdenziale). È esattamente lo stesso schema, che produce un degrado delle condizioni di vita e pietosi risultati economici in termini di crescita.
Ciò a cui fa allusione mi ricorda alcuni aspetti che ci toccano da vicino in questo momento.
Certo. Gli accordi imposti dalla troika (CE, FMI, BCE) alla Grecia, al Portogallo, all’Irlanda implicano misure simili a quelle applicate all’America Latina all’epoca del mandato di Carlos Menem in Argentina, che portarono alla fine al disastro e alla ribellione del 2001, il corralito. L’Europa attraversa più o meno la stessa situazione dell’America Latina degli anni 80-90. La gente comincia a prendere coscienza del disastro che ha rappresentato. L’America latina ci ha messo anni per risollevarsi. Spero che l’Europa non attraversi 10-15 anni di neoliberismo, spero che grazie alla mobilitazione dei cittadini/e, ci sarà una rimessa in discussione della legittimità del debito pubblico, che aumenta a causa del trasferimento del debito privato ai poteri pubblici. In Spagna il debito pubblico rappresenta solo il 17% del debito totale. È chiaro che la tendenza è quella del trasferimento del debito privato al governo spagnolo, come nel caso emblematico dell’Irlanda, paese modello con un deficit pari a zero e un tasso di disoccupazione nullo, che si ritrova oggi, in seguito al fallimento delle banche e all’esposizione alla bolla immobiliare, con un debito pubblico notevole perché il Tesoro si è sobbarcato il costo del salvataggio bancario. Questo processo è in corso in Spagna.
Questo fine settimana Merkel e Sarkozy sembrano aver aderito a un accordo “totale”, a “una soluzione duratura ai problemi dell’Europa”, mentre Barroso ha presentato un piano di ricapitalizzazione della banca. Che pensa del ruolo della CE in questa crisi?
I piani della CE sono sempre molto in ritardo. Rispondono adesso alla fase precedente della crisi. Sia in termini di metodologia che in termini di risorse messe a disposizione del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria per intervenire. Questo fondo, che raggiunge i 440 miliardi di euro, è totalmente insufficiente anche se vedesse le sue risorse raddoppiate. Deve intervenire in Grecia, in Portogallo, in Irlanda, in Spagna, eccetera. Si fa credere all’opinione pubblica che tutto è sotto controllo, mentre in realtà il pavimento si sgretola sotto i nostri piedi.
La Grecia fallirà?
Secondo me le banche sono l’anello più debole in Europa. Si parla molto della Grecia, ma in realtà le più fragili in questo momento sono le banche. Dexia lo testimonia, ma anche BNP Paribas, Société Générale, Deutsche Bank, Intesa Sanpaolo in Italia e anche i gruppi come Santander e BBVA. Nei mesi a venire, vedremo chi effettivamente incontrerà più difficoltà, se saranno le banche o paesi come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda.
Nel suo libro menziona spesso la strategia dello “choc” di Naomi Klein. Siamo senza storia, disorientati/e?
Noi viviamo la messa in pratica della strategia descritta da Naomi Klein, la “strategia dello choc”. Per esempio, qualche giorno fa, il quotidiano Il Corriere della Sera ha rivelato il contenuto esatto della lettera che la BCE ha trasmesso all’Italia agli inizi d’agosto. È la descrizione esatta della “strategia dello choc”. Più che di raccomandazioni, si trattava di diktat su temi che non sono per nulla di competenza della BCE. Per esempio la riforma del sistema delle convenzioni collettive. È un’ingerenza da parte delle istituzioni multilaterali in ambiti che non riguardano le loro mansioni, che non sono altro che quelli legati alle questioni del mercato del lavoro. Tutti sanno che l’obiettivo della BCE è di lottare contro l’inflazione. Nell’opera, evidenzio il fatto che nel 2008-09 abbiamo attraversato un piccolo lasso di tempo nel quale la “strategia dello choc” non era stata ancora applicata totalmente, ma a partire dal 2010-11 è stata posta in essere in maniera aggressiva. Per cui, ciò che può succedere il 15 ottobre è per me fondamentale. Gli indignati/e, o chiunque essi siano, protestano perché vedono che vengono favoriti gli interessi dei privati a detrimento di quelli della maggioranza. È una perdita totale di fiducia di una parte importante della popolazione, in coloro che ci governano.
Che alternativa suggerisce nel suo libro?
C’è bisogno di una soluzione radicale al problema del debito pubblico attraverso un processo di audit che permetta di identificare la parte illegittima del debito e di ripudiarla; questo implica una mobilitazione cittadina, poiché i governi attuali non sono in nessun modo convinti da questa soluzione. Inoltre non possiamo lasciare che le banche agiscano per conto proprio: bisogna socializzare queste entità e non le loro perdite. I poteri pubblici devono mettere a punto un dispositivo che permetta di disporre di un settore pubblico di credito per la popolazione, di rilanciare l’economia, creare lavoro, eccetera. Ci dobbiamo dotare di una nuova disciplina finanziaria, rigorosa, nei confronti dei mercati finanziari.
È vero, come ha detto Alessio Rastani alla BBC, che “Goldman Sachs domina il mondo”?
Goldman Sachs ha una grande influenza, ma non domina totalmente il mondo. Mario Draghi, il futuro presidente della BCE, è un uomo di GS. È stato anche un alto funzionario della Banca Mondiale. I responsabili politici conducono spesso le loro carriere in seno ai consigli d’amministrazione delle grandi imprese industriali e finanziarie (e viceversa), che così li ringraziano per il loro aiuto e approfittano ugualmente della loro influenza presso i governi. Bisognerebbe risanare tutto questo e fare in modo che non ci sia nessun conflitto d’interesse fra i responsabili politici e gli azionisti privati. Un responsabile politico non può passare di punto in bianco al settore privato, deve avere uno stacco di almeno 5 o 10 anni.
Perché considera che il debito di molti paesi europei, fra cui la Spagna, sia illegittimo?
Perché il debito è il risultato di una politica deliberata e ingiusta che non rispetta il principio fondamentale del diritto che è l’equità. All’origine c’è una riforma fiscale neoliberista di riduzione del contributo fiscale delle famiglie più ricche. Non parlo della classe media, parlo del 5 o 10% dei più ricchi. Sono loro che hanno beneficiato di queste politiche così come le imprese private, che pagano molte meno imposte proporzionalmente ai loro guadagni. Perciò, gli stati hanno dovuto finanziare il loro budget indebitandosi in anticipo; questo è il primo fenomeno. Secondo, la crisi è stata provocata dalle avventure degli agenti immobiliari, delle grandi aziende private e dal sistema di credito ipotecario, che ha provocato l’esplosione della bolla immobiliare e una recessione economica; lo stato si è allora visto obbligato a mantenere un certo livello di crescita, il che ha determinato un costo che ha fatto aumentare il debito pubblico. Questo accumulo di debito pubblico, che non ha raggiunto in Spagna un livello equiparabile a quello della Grecia, dell’Italia o dell’Irlanda, è il risultato di una politica nefasta che ha fruttato e continua a fruttare ai responsabili della crisi. È per questo che parliamo di illegittimità. Un governo può essere democratico ed emettere un debito che non abbia nessun vizio a livello legale, ma che si rivela essere illegittimo per il fatto che non rispetta il principio d’equità.