Nel lontano 1978, a seguito di una lunga stagione conflittuale con vaste lotte operaie, studentesche e di popolo... fu fatta la legge, la n. 833 basata sulla Universalità, uguaglianza, equità di trattamento dei cittadini, in osservanza di un nuovo concetto di salute che prevedeva la globalità dell’intervento sanitario, con la centralità dell’azione preventiva, l’ uniformità territoriale, l’unitarietà del sistema, la controllabilità e la partecipazione democratica “dal basso”, il finanziamento tramite la fiscalità progressiva generale.
Il nuovo Servizio Sanitario Nazionale ( SSN) con la legge n. 833, permise di superare la frammentazione per Zone e Categorie mutualistica dell’assetto precedente, ed affermare il principio dell’universalità e dell’eguaglianza con la prevenzione nei territori , nell’accesso ai servizi, attuando i principi presenti nella nostra carta costituzionale, a partire dagli articoli 2; 3, 2° comma; 32, con l’affermazione della Repubblica «tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».
Negli anni 70 , ero un giovane sindacalista della CGIL che dirigeva la categoria dei tessili e dopo dei lavoratori chimici . Con l’entrata in vigore della legge 833, vennero costituiti i servizi di medicina del lavoro delle USL composti da medici e tecnici, con i quali facevamo assieme le assemblee con i lavoratori delle fabbriche e per ridurre gli infortuni , partivamo sempre dalla valorizzazione delle soggettività dei lavoratori nei gruppi di lavoro omogeni, ciò al fine di individuare i rischi, successivamente i tecnici procedevano alla indagine sugli impianti e sui luoghi di lavoro, i medici effettuavano le visite mirate in base ai rischi esistenti ed infine si apriva un confronto con la direzione aziendale per contrattare (spesso tramite le lotte conflittuali) gli investimenti da destinare alla prevenzione e sicurezza nonché tutta l’organizzazione del lavoro, degli orari di lavoro, degli investimenti da effettuare, del come e del per cosa si lavora... con il rifiuto di ogni forma di lavoro a rischio.
Mentre oggi, siamo tornati molto indietro con una media di tre morti al giorno sul lavoro... con la maggioranza dei datori di lavoro i quali pensano che la prevenzione e sicurezza sul lavoro sia un costo da ridurre al minimo... quindi fanno fare la valutazione dei rischi come previsto dalla normativa “Testo Unico Sulla Sicurezza”, sulla carta, in termini burocratici senza interventi tesi a prevenire gli incidenti; cercano di ridurre tutti i costi del lavoro, senza fare investimenti di prevenzione sugli impianti e spesso per incrementare la produzione tolgono anche i dispositivi di sicurezza esistenti; cercano di incrementare carichi e ritmi di lavoro, assumano i lavoratori in modo precario senza formazione, fanno fare ore di straordinario per non assumere nuovo personale con affaticamento e maggiore stress da parte dei dipendenti;
Occorre quindi rilevare che quello che è avvenuto in termini di arretramento con la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro è strettamente legato alle successive trasformazioni ed indebolimento, con i tagli d spesa nella Sanità Pubblica .
Lo scenario attuale che vede l’Italia maglia nera nella UE con un 15% in meno nella spesa per la Sanità Pubblica e ben il 50% i meno della Germania, è il frutto di un’inversione di rotta, rispetto ai valori comuni collettivi degli anni 70 che aveva portato alla riforma sanitaria del 1978, con le nuove politiche di welfare attuate partire dalla fine degli anni 80 del secolo scorso.
In particolare la sanità è stata un ambito privilegiato di applicazione di nuovi modelli liberisti ancora in vigore.
C’è stato un gran martellamento ideologico tramite i mass/media sponsorizzati dalla Confindustria e con nuovi interlocutori del capitalismo mondiale, (come la Banca Mondiale, grandi imprese farmaceutiche multinazionali, a cominciare da Big Pharma, e le società finanziarie legate alle assicurazioni private), nelle scelte dei vari governi nelle politiche sanitarie ed economiche in funzione del privato.
In questo contesto, hanno convenuto sulla necessità di ridimensionare le attività pubblica a favore degli interessi privati , tutti i governi di centrodestra e centrosinistra che si sono succeduti negli anni. Sono state così attuate strategie orientate a una generale riconfigurazione dell’intervento dello Stato rispetto al mercato, con minor tutela dei diritti sociali, a un ridimensionamento dei servizi collettivi di welfare pubblico, all’introduzione di un maggior peso di attività e soggetti privati nell’ambito delle attività di cura.
Il capitalismo in chiave neoliberista si è sviluppato (ed ha vinto) nella sanità pubblica soprattutto a partire degli anni Novanta, con le attività la prevenzione nei luoghi di lavoro, come le cure sanitarie e l’assistenza ai più fragili, che sono state ridotte con ingenti tagli alla sanità pubblica, ( ben 15 miliardi negli ultimi 17 anni) e sempre più fornite nella forma di merci comprati sul mercato del “privato è bello” , da quanti hanno capacità di spesa, anziché di diritti garantiti dallo Stato sociale.
Mercato e concorrenza sono diventati «il pensiero dominante delle politiche sanitarie» anche e soprattutto del governo di Meloni che ha stanziato una cifra irrisoria di 1,9 miliardi, che sono utili solo per fronteggiare gli incrementi di luce e gas che si sono verificati negli ultimi sei mesi.
Quello che scontiamo oggi in Italia è anche il processo dell’affermazione dell’ingresso del capitale privato nel campo della sanità, che ha coinvolto supinamente, anche le OO.SS., andando a contrattare nei rinnovi dei CCNL, il welfare aziendale al posto degli incrementi salariali sulla busta paga.
Si sono così affermati processi inediti regressivi, nell’ambito della salute e della sanità, come in altre attività di cura, istruzione e assistenza, pensioni.
Occorre dire che anche le gravi difficoltà che si sono mostrati nella sanità pubblica, a fronte dell’impatto di Covid-19 , sono derivati soprattutto dal depotenziamento della SSN , dallo spazio lasciato alla sanità privata e dall’indebolimento della medicina territoriale che ne aveva informato la fisionomia originaria.
Ecco il perché di liste di d’attesa infinite, i pronto soccorso al collasso, mancano migliaia di medici e di infermieri, le strutture e gli strumenti dei plessi ospedalieri sono inadeguati. Il Ssn è sostanzialmente de-finanziato, i privati e le assicurazioni lo vampirizzano !
Per comprendere quindi il cosa sia possibile fare oggi, occorre allora partire dalle suddette considerazioni ed invertire la rotta rispetto alle problematiche che negli anni passati hanno contrassegnato l’assetto sanitario.
Serve un impegno volto a riformulare un progetto politico che rimetta la salute al centro del cambiamento sociale.
La sfida odierna è quella di ripristinare un nuovo modello di welfare socio-sanitario espansivo, espressione di una gestione partecipata, democratica, comune, capace di riprendere quel percorso che fu stabilito dalle lotte degli anni 70.
Credo che oggi la tenuta, il potenziamento e la riqualificazione di un servizio sanitario pubblico dipendono soprattutto dalle scelte politiche che a livello nazionale, europeo e internazionale si compiranno, ma soprattutto dalla rimessa in campo di una programmazione nazionale dei servizi e dalla loro capillarizzazione territoriale, dal rifinanziamento della spesa sanitaria e sociale, da una nuova spinta culturale e politica, che può essere affermata solo se dal basso , nei territori, nei luoghi di lavoro, nella scuola... riparte una rivendicazione di massa che faccia ridiventare la riforma del 1978 la base essenziale del potenziamento del SSN , viceversa, la rinuncia all’uso di un servizio pubblico avrebbe conseguenze ancor più gravi ed irreversibili sul piano dell’aggravamento delle odierne diseguaglianze.
Umberto Franchi 26 maggio 2023