Mi raccomando, guai a fare paragoni nel Giorno della Memoria! È solo una coincidenza se i nostri governanti lo celebreranno – stavo per scrivere “festeggeranno”, pardon – con un carico di 49 richiedenti asilo finalmente alloggiati nel centro di detenzione albanese di Shengjin. Sicuramente li avranno selezionati con maggiore accuratezza che nelle spedizioni precedenti.
Nelle cerimonie commemorative dello sterminio di ottant’anni fa gli oratori indignati si chiederanno come sia stato possibile perpetrarlo con il consenso o nell’indifferenza dei più.
Suonerebbe dunque inappropriato evocare in tale occasione la scelta di rilasciare e riaccompagnare in Libia il generale Almasri, carceriere di migranti in vece nostra, con il quale vige il patto che continui a svolgere il suo sporco lavoro. È anzi auspicabile che la plateale immunità a lui concessa ne accresca la fama, sì da disincentivare i malcapitati che mai volessero ribellarsi ai suoi soprusi.
Rendiamo omaggio alle vittime della Shoah tenendole ben distinte dalla fila degli stranieri ai ceppi rastrellati negli Stati Uniti. Zelanti minimizzatori ci raccomandano di non tradurre deportation con “deportazione” ma con “espulsione” sennò incorriamo nel solito errore di dare del fascista a Trump. Figuriamoci, quelle foto sono solo propaganda, se siamo arrivati a tanto è colpa del lassismo dei buonisti e comunque si è sempre fatto così.
Infine proibizione assoluta, quest’oggi, a qualsiasi riferimento sulla carneficina di palestinesi perpetrata dagli israeliani a Gaza. O tanto meno a Trump che vagheggia di trasferirne forzatamente un milione e mezzo in Egitto e in Giordania. Meglio non accorgersi di quel che ci recherebbe disagio.
La regola è sempre la stessa descritta da Primo Levi: “La maggior parte dei tedeschi non sapevano perché non volevano sapere, anzi, perché volevano non sapere”. Vale tuttora anche per noi?