C’è un filo conduttore tra l’aggressione al giornalista de La Stampa, Andrea Joly, e l’inchiesta di Fanpage su Gioventù Nazionale. Anzi, c’è più di un filo conduttore. Di sicuro, di mezzo c’è sempre il grande problema italiano, ossia la presenza di circoli e gruppi che inneggiano al fascismo, al nazismo, all’odio razziale, etnico, nazionale e religioso. Li chiamano neofascisti, ma è più corretto chiamarli semplicemente fascisti, perché sono in continuità con la macabra tradizione che ha insanguinato il mondo nel Novecento e che non siamo riusciti a debellare una volta e per sempre. Lì, nei margini bui della democrazia, sotto i tombini della Repubblica, infatti, il fascismo ha continuato a serpeggiare e muoversi, in attesa di tempi migliori. Che oggi sembrano essere arrivati. Oggi che a guidare il governo c’è il partito di Giorgia Meloni, tutto identità, patria, famiglia (naturalmente a parole e slogan), oggi che quel complesso di inferiorità che ha nutrito la rabbia nei confronti della sinistra e dei governi democratici può essere finalmente risolto a colpi di decreti, leggi, lottizzazioni, piccole o grandi vendette.
La facciata istituzionale non riesce a mascherare del tutto il volto rabbuiato del potere, che schiuma odio e rabbia verso tutto ciò che non si allinea, verso tutto ciò che rappresenta l’avversario presente e passato, l’altro, l’opposto. E in questo opposto ci sono anche i giornalisti, o meglio una parte di essi, coloro che possono svelare le macchie peggiori, come ad esempio la natura imbarazzante delle “reclute”, quelle che dovrebbero formare il futuro di un partito che governa e partecipa al meccanismo democratico, ma che invece offrono la tetra rappresentazione di un presente orribilmente nostalgico. I giornalisti, quelli che si infiltrano per raccontare la verità, per svelare un problema evidente con il quale il governo al potere dovrebbe fare i conti, danno fastidio, li si accusa di violare le regole (in realtà è un normalissimo e più che lecito metodo di inchiesta usato in tutto il mondo), si arriva persino a chiedere l’intervento del presidente Mattarella.
Insomma, invece di preoccuparsi di ciò che viene denunciato da un’inchiesta, si punta il dito su chi ha urlato che il re è nudo, si mette alla gogna il o la giornalista e il giornale. Eccolo il primo elemento comune: l’odio stimolato che poi si trasforma in azione, come sempre. Andrea Joly, cronista de La Stampa, cammina per Torino e, a San Salvario, si imbatte in una festa di rivendicazione di estrema destra, una di quelle manifestazioni che la nostra Costituzione vieta, così come vieta la riproposizione di partiti di ispirazione fascista. Si avvicina, scatta foto e gira video, raccoglie materiale per un servizio da proporre al suo quotidiano, insomma esercita la sua professione, quella di raccontare, denunciare, far conoscere. Solo che qualcuno non è d’accordo, si avvicina a Joly, gli chiede conto, lo minaccia, prova a togliergli il telefono, lo spintona, alla fine lo accerchia (in sette) e lo aggredisce.
Sono i coraggiosissimi e valorosi membri di un circolo di Casapound, quelli che in gruppo diventano più forti, quelli che ora sostengono di non aver aggredito nessuno, di aver reagito solo perché il cronista stava facendo foto e video in un contesto in cui vi erano anche dei minori. Il paradosso: dei fascisti, che svolgono una festa di rivendicazione che non potrebbe essere svolta e che ammorbano dei minori con simboli e idee di odio e violenza, si ergono a difensori di presunte regole (nessuna legge vieta a un cronista di fare riprese, al massimo le limitazioni possono nascere sulla pubblicazione delle immagini) e, ovviamente, le fanno rispettare ricorrendo alla violenza, il solo linguaggio che conoscono. Nella loro logica, il giornalista che fa il video, l’infiltrato, il nemico, va messo a posto.
Ma c’è un altro filo conduttore tra questa vicenda e quella di Fanpage, ossia Giorgia Meloni e il suo rapporto con le formazioni fasciste e con il fascismo. Nel caso dell’aggressione a Joly, la premier (con l’articolo femminile, se ne facciano una ragione la Lega e il suo grottesco senatore Potenti) ha espresso solidarietà al giornalista, augurandosi che i responsabili vengano individuati e affermando di aver chiesto al ministro Piantedosi di aggiornarla sugli sviluppi. Nessun riferimento ai protagonisti e al contesto dell’aggressione, nessuna aggiunta dell’aggettivo “fascista”, che avrebbe reso più veritiero e credibile il messaggio. Non ce la fa la premier, non ce la fa il suo partito, non ce la fanno i suoi esponenti (come quell’Ignazio La Russa, che ha commentato invitando i giornalisti a non fare incursioni, rovesciando così, come suo solito, la prospettiva della colpevolezza). Non riescono a prendere le distanze davvero, non riescono a rompere con questo formicaio di gruppetti come Casapound o Forza Nuova, né a ripulire la tragica nostalgia fascista della loro base. Gioventù Nazionale ne è l’esempio, è la voce interna, è la fucina di formazione ed è inquinata da un pensiero fermo agli anni Venti-Trenta del Novecento.
Inutile negarlo, inutile mandare il Donzelli di turno a difendere ciò che è indifendibile e che emerge dalle parole, dagli slogan, dagli orridi discorsi mostrati dall’inchiesta di Fanpage. Inutile, a maggior ragione se poi alcuni di quei protagonisti in negativo rimangono al loro posto. Ma il problema emerge anche nelle relazioni con le formazioni politiche come Casapound, con i suoi militanti e rappresentanti, quelli che definiscono “miserabile” Ilaria Salis, nuovo bersaglio della destra (inclusa quella al governo e quella delle direzioni dei giornali amici), quelli che, dopo averlo picchiato, invitano Joly a confrontarsi sul palco di una festa nazionale che andrebbe vietata. Quelli con i quali molti esponenti della destra italiana continuano ad avere rapporti diretti, fatti di commemorazioni, di presentazioni di libri e tanto altro ancora.
Qualcuno, in questi giorni, ha chiesto al governo di sciogliere le formazioni fasciste, seguendo il dettato costituzionale e le leggi approvate nei decenni successivi. Sarebbe dirompente, Fratelli d’Italia avrebbe l’opportunità di sbaragliare le accuse in un attimo, con un ritorno enorme sul piano della comunicazione politica. Ma non accadrà mai, perché significherebbe la fine per il partito di Meloni, formazione politica priva di classe dirigente “autoprodotta”, che su quel retroterra ci ha infilato le radici e su quel retroterra sa di poter contare quando le cose cominceranno ad andare male. È un legame talmente forte e profondo, che nessuna aggressione ad un giornalista, nessuna azione violenta e nessuna verità scomoda riusciranno a spezzare. I fascisti possono camuffarsi, disperdersi, anche polemizzare tra loro sulla “purezza” politica di questo o quell’esponente, ma alla fine fanno fronte comune e si spalleggiano. Aspettarsi da loro azioni difformi e spostamenti in direzione della democrazia e della libertà di pensiero e di stampa è pura utopia. E rischia di far perdere di vista la loro reale consistenza. Che è tristemente coerente con la loro storia.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org