La memoria è la colonna vertebrale della storia di un Paese. Ci sono fatti della storia della nostra Repubblica che quando fuoriescono dalle bocche di soggetti rivestiti da inattese funzioni istituzionali, assumono un significato preciso, chiarissimo nei contorni e nel contenuto. Da quando sei mesi fa si è insediato il Governo Meloni circola tra i detrattori la parola post-fascista, sostantivo sporadicamente attribuito all’attuale presidente del consiglio e a una serie di ministri e parlamentari che compongono, in particolare, la forza politica chiamata Fratelli d’Italia. L’impressione è che chi usa questo sostantivo esiti, preoccupato di non utilizzare termini più pesanti, quasi a convincersi e a convincere che questi soggetti sì, provengono da quella storia lì, ma sono solo post, mica hodiernis. Quando utilizzi la parola esatta rendi chiaro ciò di cui parli: questi soggetti sono semplicemente, genuinamente, agevolmente, fascisti. E fascista è quanto ha mosso le loro corde vocali a proposito dell’attentato di via Rasella e del massacro delle Fosse Ardeatine.
A poco più di venti giorni dal 25 aprile, festa nazionale della Liberazione, si sono distinti in questo esercizio vocale Meloni e La Russa, quest’ultimo, sorprendentemente, seconda carica dello Stato, presidente del Senato della XIX legislatura.
È accaduto, come ogni anno accade, che il 24 marzo scorso fosse l’anniversario del massacro delle Fosse Ardeatine operato dai nazifascisti con l’assassinio di 335 persone come risposta all’attentato di Via Rasella, compiuto dai GAP romani, dove morirono 33 militari del battaglione nazista “Bozen” facente parte dei reggimenti di polizia SS sotto il comando di Himmler. Ogni anno si ricorda quel crimine, ogni anno il Presidente della Repubblica si reca alle Fosse Ardeatine per non dimenticare la strage compiuta dall’occupante nazista e dai fascisti italiani. Nessuno – soprattutto dopo le sentenze che hanno condannato Kappler per crimine di guerra e rigettato le azioni civili promosse contro i partigiani dei GAP e contro i tre dirigenti del CLN (Amendola, Bauer e Pertini) – aveva mai pronunciato frasi che oltraggiano la Repubblica antifascista e la Costituzione da cui è nata. L’hanno fatto gli attuali presidenti del Consiglio e del Senato, le cui farneticazioni imperversano sulla cronaca nazionale, sorrette da un calcolo preordinato che confida nella scarna memoria collettiva, nell’ignoranza dei fatti, nella sperata indifferenza generale, nell’età di una grande parte di cittadini italiani che quegli eventi del 1944 non hanno vissuto.
Meloni ha esordito con la frase «Sono stati uccisi alle Fosse Ardeatine solo perché italiani». Sa benissimo Meloni – che in un’epoca per lei più confacente, si sarebbe chiamata figlia della lupa, piccola italiana e giovane italiana – che ad essere assassinati furono 335 antifascisti, resistenti, partigiani, ebrei, prelevati da via Tasso, da Regina Coeli e dai covi di tortura allestiti dalla banda Koch dove erano stati imprigionati. Italiani è aggettivo insultante in quest’occasione, perché tra gli assassini si distinsero italiani: Caruso il questore di Roma, Buffarini Guidi il ministro dell’interno della repubblica sociale italiana, Pietro Koch il criminale di guerra, coautori della lista che mandò a morte 335 persone. Italiani, italiani fascisti. Ma Meloni, nata con l’MSI, non riesce a rinnegare le proprie origini e, anche a concederle improbabili sforzi intellettuali, non riesce a tenere a bada la sua natura fascista. Così le vittime sono state vittime solo perché italiane, spazzando via con una miserabile frase la distinzione tra italiani che mai come allora andava fatta. L’uscita di Meloni non è passata inosservata, l’ANPI nazionale ha emesso un comunicato e la stampa ha cominciato a rievocare i fatti del 23-24 marzo 1944 per ricordare cosa avvenne.
Ma quella frase ha dato la stura ad altri nostalgici ed ecco l’ineffabile Ignazio Benito La Russa raccogliere la palla: il 31 marzo La Russa – a cui il busto di Mussolini custodito in casa non manca mai di dare intimi suggerimenti – si è spinto oltre, utilizzando la radio del quotidiano Libero il cui direttore Pietro Senaldi ha funto da megafono. Così i 33 soldati del battaglione Bozen diventano «una banda musicale di semi pensionati non nazisti» e l’attacco di Via Rasella «una pagina ingloriosa della resistenza». Contro la storia, contro la verità.
Non sono passaggi estemporanei, sono condotte programmate, preordinate. C’è chi sostiene, non senza ragione, che tali condotte facciano parte dell’arsenale delle armi di distrazione di massa concepite per occultare le incapacità politiche di questo Governo nell’affrontare i problemi del Paese, da quelli economici a quelli legati alle vicende internazionali (in primis la guerra in Ucraina), da quelli sociali a quelli della migrazione (https://volerelaluna.it/commenti/2023/04/01/il-fascismo-compulsivo-di-giorgia-e-i-suoi-fratelli/). Ma non è abbastanza per spiegare un calcolato insulto alla Repubblica e alla Costituzione antifascista a cui questi soggetti, a cominciare dal presidente del Consiglio, hanno prestato giuramento. Dopo averlo pronunciato per insediarsi ai vertici dell’ordinamento repubblicano, quel giuramento si rivela per quello che è: un solenne spergiuro. Non si può transigere quando si parla dei fondamenti della nostra Repubblica: su questa Repubblica grava ora il pesante ingombro di chi, messo al suo vertice, falsifica la storia, ripudia l’antifascismo che ha costruito la democrazia italiana del dopoguerra, tenta l’epurazione della memoria collettiva e prova a riabilitare l’ignobile passato fascista da cui non ha alcuna volontà di allontanarsi.
Questo Governo e la sua maggioranza sono perfettamente coerenti, nel loro operare, con quelle uscite affatto estemporanee. È l’ennesima dimostrazione che in Italia i conti con la storia non sono stati fatti e che il tentativo di “pacificazione” propagandato da oltre 20 anni è un drammatico imbroglio, dalle conseguenze incontrollabili se non gli si contrappone l’indiscutibile ideale antifascista che connota il nostro ordinamento repubblicano. Quel no pasaran! dei repubblicani spagnoli contro il franchismo valga oggi, qui, in Italia: soggetti come questi non sono degni di rappresentare la Repubblica democratica e antifascista nata dalla Resistenza.