Il mio piccolo calvario

di Claudio Lazzaro - 13/05/2022
Il mensile Prima Comunicazione ha dedicato tre pagine al mio piccolo calvario. Incollo qui sotto il racconto tragicomico di questa vicenda giudiziaria, che speriamo serva a farvi leggermente imbufalire

Mi sono messo a urlare correndo per casa con le braccia alzate. Le figlie impaurite, ma poi hanno capito che era di gioia. Al telefono mi era arrivata una notizia splendida.

Ve la racconto perché la mia esperienza personale può contribuire alla riflessione su una realtà che ci riguarda e di cui bisogna prendere atto: da noi è praticamente impossibile fare informazione indipendente e libera se in Parlamento non passa finalmente una legge seria sulle cause temerarie.

La notizia che mi ha fatto urlare come un tifoso della Curva Sud è che in Cassazione, con sentenza depositata il 3 febbraio del 22, prima sezione civile, sono tornato innocente.

La mia colpa? Era di aver arrecato grave danno economico a un pluripregiudicato di Forza Nuova, che nel 2011 mi aveva citato in giudizio, chiedendo 25.000 euro di risarcimento. Se aggiungiamo le spese legali stiamo parlando di una cifra notevole, che diventa una spada di Damocle paralizzante per chi come me in quegli anni produce e realizza documentari indipendenti, a basso costo, su temi non comodi, come Lega Nord, Berlusconi, sdoganamento politico della destra estrema.

Ci sono voluti più di dieci anni per scostarmi dal collo quella spada.

Il documentario di cui stiamo parlando è Nazirock, distribuito in DVD nel 2008 da Feltrinelli, nella collana Real Cinema, trasmesso più volte da Sky (mai dalla Rai o da una rete generalista). Nel film a un certo punto nel corso di un’adunata di Forza Nuova si esibisce sul palco un pessimo cantante, un tizio con precedenti per porto abusivo di armi, violenze a pubblico ufficiale, fabbricazione di ordigni esplosivi, discriminazione razziale, rinviato a giudizio per associazione a delinquere, finito in carcere per l’aggressione a uno studente che aveva osato difendere in pubblico i valori della Resistenza.

Il personaggio era interessante perché, malgrado questi precedenti, Forza Nuova lo aveva candidato sia alla Camera, nel 2008, che alle comunali, nel 2007.

Così gli faccio un’intervista e la monto nel ritratto di questa Woodstock della destra estrema, una specie di festival in cui, organizzati da Forza Nuova, si alternano gli interventi di un condannato per la strage di Bologna, come Luigi Ciavardini, a quelli di nostalgici del nazifascismo provenienti da tutta Europa e perfino dal Libano, con le esibizioni di gruppi rock che inneggiano alla Repubblica di Salò.

Quando Nazirock viene distribuito, arrivano minacce e intimidazioni, ci sono librerie che nascondono il DVD di Feltrinelli e sale cinematografiche che cancellano le proiezioni programmate.

In questo clima, il pessimo cantante decide di farmi causa. È un noto pregiudicato ma dice che gli ho rovinato l’immagine, gli ho compromesso la carriera.

Strano, credevo di averlo trattato bene, nel film non vengono citati i suoi gravi precedenti penali, non sono andato a intervistarlo col dito puntato, volevo solo capire cosa pensa uno come lui. Capire è la chiave, la molla di questo documentario, che nasce dallo stupore di uno che è nato nel 1944, a ridosso della più grande carneficina della storia, provocata e scatenata dal nazifascismo. Nasce dal mio stupore: com’è possibile che tutte ste robacce, le croci celtiche, Salò, la svastica, tornino a esercitare un fascino sulle nuove generazioni, mi chiedevo.

Avevo passato trent’anni nei giornali, prima all’Europeo poi al Corriere della Sera, ero un giornalista in pensione, ho pensato di rendermi utile, di fare volontariato. Correndo anche qualche rischio, perché non è facile filmare i raduni della destra estrema, quando partono i saluti a braccio teso e viene srotolato lo striscione che chiede PIÙ NAZIFASCISMO.

Nazirock, nasce così, dalla voglia di capire e di raccontare ai giovani, che spesso di quel buco nero nella storia, di quel passato, sanno poco o nulla.

Ma è proprio ai giovani che si rivolge la propaganda dei movimenti della destra estrema in Italia, allo stadio e nei raduni che hanno come colonna sonora un rock rudimentale, dove il ruolo di leader della band e di attivista politico spesso coincidono.

Per questo al mio film bisogna tagliare le gambe e anche perché i partiti neofascisti hanno due facce, una presentabile da mostrare in pubblico, e una illegale, quella della svastica e del fascio littorio, che viene fuori solo alle loro adunate, dove le telecamere e giornalisti non riescono entrare. Nazirock ci è riuscito. Così partono le azioni giudiziarie, sei in tutto

senza contare gli appelli, che vengono intentate contro di me a scopo intimidatorio, a volte con pretesti stravaganti, da esponenti di Forza Nuova come di Casa Pound.

Perché mi fanno causa, inventandosi stupidaggini, quando sanno già di perdere? Chiaramente perché vogliono sfiancarmi con le spese legali che mi tocca sostenere e che loro possono permettersi, mentre io no.

Perché loro possono? Perché hanno i soldi, e molti. Alle inquietanti disponibilità finanziarie dei partiti neofascisti italiani, L’Espresso ha dedicato due inchieste approfondite, nell’aprile e nel novembre del 2017, realizzate con il centro di giornalismo d’inchiesta Irpi e con il supporto del Journalismfund.eu

La persecuzione nei miei confronti non si dispiega solo sul piano legale, arrivano minacce a me e a chi proietta il film, il mio sito viene distrutto dagli hacker e scopro che online è stata caricata una copia di Nazirock con il finale modificato. Dove ci sono queste immagini dei campi di sterminio, i corpi a montagne, i sopravvissuti che barcollano tra le baracche come fantasmi scarnificati, sulle quali io monto il silenzio assoluto, perché non c’è altro modo di commentare un tale sgomento, loro invece hanno inserito un pezzo dei Negrita, Rotolando verso sud. Musica allegra e spensierata. Per loro l’Olocausto è una festa.

In mia difesa prendono posizione Articolo 21 e l’osservatorio Ossigeno per l’informazione, che mi inserisce nella lista dei giornalisti minacciati.

Ma nel maggio del 2015 il Tribunale di Roma, sezione proprietà industriale e intellettuale, decide che ha ragione il cantante. Per la prima volta, fortunatamente è anche l’ultima, vengo condannato: devo versare al pregiudicato, in solido con Feltrinelli, la somma di 15.000 euro, più gli interessi maturati, più 4.000 euro di spese legali, più altri 4.000 euro per quelle sostenute da Feltrinelli (nel contratto che mi ha fatto firmare la casa editrice si è messa al riparo dalle grane legali).

La motivazione della sentenza è sorprendente.

Secondo i giudici sono colpevole perché avrei indotto il pubblico a ritenere che il cantante “si faccia portatore di idee violente, antidemocratiche e non rispettose degli altri”.

Stiamo parlando di quello che inneggia alla Repubblica di Salò mentre in platea issano lo striscione che chiede più nazifascismo. Sembra che non abbiano visto il film. La sentenza continua: “Il fatto che fosse candidato alla politiche del 2008 con la lista Forza Nuova non dimostra la vicinanza al pensiero fascista in quanto tale associazione politica non sembra conformarsi a una determinata corrente di pensiero ideologico, avendo optato per un rifiuto delle storiche categorie di destra e sinistra”.

Ora, che Forza Nuova sia un partito neofascista lo dice perfino Wikipedia. E i giudici non possono ignorare che Roberto Fiore, latitante a Londra per 19 anni e attuale leader di Forza Nuova, nel 1978 ha fondato Terza Posizione, un movimento neofascista, in cui hanno militato terroristi come Ciavardini, e che usava come slogan appunto “Non siamo né di destra né di sinistra, la nostra è una Terza Posizione”.

Non riesco a crederci, mi sento vittima di una cospirazione. Poi ragiono: no, magari è solo incompetenza, sciatteria. E ricordo una sentenza del Tribunale di Bergamo con cui sono stato assolto, cinque anni prima, nel 2010. In quel caso a farmi causa era Iannone, quello di Casa Pound (non mi sono fatto mancare nulla, mi ha portato davanti ai giudici anche Roberto Fiore, quello di Forza Nuova). La causa nasce da un’intervista che mi fa L’Europeo (non il magazine in cui ho lavorato, ma il mensile diretto da Daniele Protti). Mi chiedono di raccontare tutto quello che si è scatenato attorno a Nazirock, le minacce ai cinema che lo vogliono programmare e via di seguito. A illustrare il pezzo erano state usate le immagini di un pub, abitualmente frequentato dalle teste rasate di Casa Pound. Che si offendono e fanno causa a me e all’Europeo. Tutti sanno che se rilasci un’intervista a un giornale non sei responsabile della titolazione o della scelta delle immagini che vengono impaginate, ma loro mi fanno causa lo stesso. Perdono, com’è giusto, ma quando leggo la motivazione della sentenza del Tribunale di Bergamo mi viene un colpo, perché nella motivazione io vengo indicato come il direttore responsabile dell’Europeo. E come tale sì, a rischio di essere condannato. E a rischio di dover tornare a giudizio per dimostrare che no, io non sono il direttore dell’Europeo.

Che poi uno capisce perché non ci dormi la notte, quando ti capita di entrare in questo tritacarne.

Bene, torniamo al 2015, quando vengo condannato. Decido di dare battaglia, non pago, resisto. È vero, le sentenze vanno rispettate, ma anch’io ho dei principi e in questo caso mi dicono che pagare sarebbe una resa.

Barcollo quando, nel giugno del 2016, mi arriva una raccomandata da Feltrinelli, il mio editore, che mi dà 15 giorni per saldare un debito di 25.393,70 euro più interessi. Siccome loro, a differenza di me, hanno pagato il cattivo cantante, adesso li devo rimborsare. Capisco che per loro era impossibile chiudersi in casa e sperare in bene, come ho fatto io, ma ugualmente il colpo è durissimo, perché per me, che sono un ragazzo degli anni 60, Feltrinelli è una bandiera, è la cultura delle battaglie civili e della resistenza ai fascismi.

Incasso e do un’altra mandata alla porta, venissero a prendermi, non pago neanche Feltrinelli.

Mi spiace, perché all’editore (soprattutto a Carlo Cresto Dina, che allora dirigeva la collana Real Cinema) devo essere grato. Non siamo più negli anni 60, Feltrinelli ha comunque il merito di aver pubblicato Nazirock e di avergli costruito addosso un libro interessante, Ho il cuore nero, che ne commenta i contenuti, firmato da Antonio Pennacchi, Furio Colombo e da altri intellettuali esperti in materia.

Sono altri quelli che mi deludono. Penso al silenzio dell’Anpi e dell’Arci, quando vengo condannato. Le sezioni locali di queste associazioni mi hanno chiesto di partecipare alle proiezioni organizzate in tutta Italia, un’infinità, dibattiti interessanti, gente bellissima. Poi, quando ci sarebbe da dire una parola di sostegno da parte dei vertici neanche un cenno.

E ricordo Massimo Rendina, un partigiano vero, che ha fatto la Resistenza, presidente dell’Anpi Lazio, che quando vede il film mi chiama entusiasta: “Facciamo subito una proiezione alla Casa della Memoria e della Storia”. Proiezione che non si farà mai, perché la Casa è un’istituzione del Comune di Roma e in quel momento è sindaco Alemanno.

Nazirock ha vita difficile anche in televisione. Viene programmato diverse volte su Sky, da Current TV, il canale di Al Gore, mai da una rete generalista, a differenza di Camicie Verdi, il mio precedente documentario, che va in onda su La7, film più dibattito.

Forse ciò che lo rende indigesto è il riferimento alle nuove possibili forme di autoritarismo, con quelle immagini che stranamente si vedono solo nel mio piccolo documentario, di Berlusconi che alla trionfale manifestazione del 2006 contro Prodi e la finanziaria, accarezza la bandiera della Fiamma Tricolore, il partito di Luca Romagnoli, presente sul palco accanto a lui, uno che “forse le camere a gas non sono mai esistite”, mentre Gianfranco Fini declama: “Il capolavoro politico di Silvio Berlusconi è stato di sdoganare non solo noi, ma quelli che stanno a destra di Alleanza Nazionale”.

Era una manifestazione impressionante, a Piazza San Giovanni, “Siamo in due milioni”, gridava il futuro candidato alla Presidenza della Repubblica. C’erano centinaia di giornalisti e commentatori. Avessi letto il giorno dopo una riga su quello sdoganamento, così plateale e pericoloso.

Con questo senso un po’ così, diciamo di solitudine, ho attraversato i dieci anni di questa storia giudiziaria.

Fortunatamente a tirarmi fuori dai guai è intervenuto un giovane avvocato romano, Andrea Sangiorgio, che ha capito subito come in ballo non ci fosse solo una causa civile ma una causa di civiltà e si impegnato con tutte le sue forze. Mi ha fatto vincere in appello e adesso in Cassazione. Restituendomi la serenità, ma non la fiducia nella giustizia.

Dieci anni di attesa sono troppi, vivi con l’ansia. E con le leggi vigenti chi ha denaro da spendere, se gli dai fastidio, può bombardarti con procedimenti giudiziari pretestuosi. Ripeto, per lui le spese legali non sono un problema, per te sono un bagno di sangue.

C’è un disegno di legge, del senatore Primo Di Nicola, un ex giornalista, che vuole introdurre una penale per chi cita in giudizio a scopo intimidatorio, senza solidi motivi. Ma questa legge non riesce a passare.

Adesso, ragionando un attimo, in Italia già non esiste una legge sul conflitto d’interessi, quindi il panorama dei grandi mezzi d’informazione subisce il peso di poteri che a volte non hanno tra le loro priorità quel tipo d’informazione, veramente libera, che è il sale della democrazia.

Sarebbe quindi fondamentale la possibilità, per giornalisti indipendenti, d’indagare e raccontare stando fuori dai grandi gruppi editoriali. Ma questa possibilità non esiste - l’ho sperimentato sulla mia pelle – se non si fa una legge capace di scoraggiare queste cause in malafede, che nel linguaggio giuridico vengono definite “temerarie”. E arroganti aggiungerei, perché sono l’espressione di un potere che può schiacciare impunemente ogni voce libera.

Non ci vuole molto a capirlo, è una cosa semplice semplice, ma il Parlamento italiano non ci arriva. Forse è arrivato il momento di metterci assieme, in tanti, e di chiedergli il perché.

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