Il sonno del diritto genera mostri

di Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI) - comune-info.net - 03/06/2022
L’elenco dei comportamenti israeliani nefasti sarebbe lunghissimo e le condanne sul piano formale non bastano. Lasciano da sempre indifferente la volontà politica che determina l’oppressione e il complice silenzio dei sostenitori che l’accompagna

Nell’ultimo anno abbiamo assistito ad un evidente aggravamento delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale da parte delle forze militari e del Governo di Israele nei confronti dei Palestinesi. Non sono soltanto i numeri e la frequenza di tali violazioni a parlare, ma anche, forse soprattutto, le persone, le associazioni e le strutture che sono state prese di mira.

Da ormai 15 anni la Striscia di Gaza vive sotto un blocco militare soffocante, una punizione collettiva che depriva due milioni di persone dei loro diritti fondamentali, inclusi il diritto alla vita, alla cura, al movimento, all’istruzione. Quattro operazioni militari hanno devastato Gaza tra il 2008 e il 2021; l’ultima in ordine di tempo, quella del maggio 2021, è stata la più feroce, non soltanto per la potenza distruttrice delle armi utilizzate da Israele, ma per la deliberata distruzione di numerose strutture civili, incluse 53 scuole, 11 ambulatori medici, 6 ospedali e la Torre dei Media. Non a caso, il 2021 è stato un anno record per la vendita di armi israeliane (che, vale la pena ricordarlo, sono particolarmente richieste poiché tra le pochissime “field tested”, provate sul campo. ndr), con un volume di incassi che ha toccato i 9 miliardi di euro, pari al 3% della spesa militare mondiale.

Le organizzazioni della società civile, sia israeliane che palestinesi, sono oggi più in pericolo che mai. Se gli attacchi contro i difensori dei diritti umani sono all’ordine del giorno ormai da decenni, è tuttavia evidente che la recente decisione del Ministero della Difesa israeliano di designare come “terroriste” sei autorevoli organizzazioni della società civile palestinese è il culmine di una lunga campagna diffamatoria, denigratoria, di delegittimazione e di intimidazione, che non esita a colpire organizzazioni la cui reputazione e stima è comprovata da numerosi riconoscimenti internazionali, incluso lo status consultivo garantito ad alcune di loro presso l’ECOSOC e il fondamentale ruolo di documentazione che hanno svolto e continuano a svolgere affinché l’indagine della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra commessi sul territorio palestinese occupato possa fare il proprio corso.

Anche l’uccisione di civili non è purtroppo una novità. Dall’inizio dell’anno e fino all’8 maggio 2022, sono almeno 47 i Palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane, oltre quattro volte di più dello stesso periodo del 2022. In queste ultime settimane, ci sono state numerose altre vittime, tutte civili, ma c’è di più, come sappiamo. La morte di Shireen Abu Aqleh segna un punto di non ritorno per la libertà di stampa e di informazione nei territori, perché sancisce una tragica verità: nessuno è al sicuro, neppure le persone più “in vista”. Se è vero che i giornalisti sono un bersaglio sistematico delle forze armate israeliane nei territori palestinesi occupati, come recentemente denunciato dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti, che il 25 aprile scorso ha consegnato alla Corte Penale Internazionale il dossier sui crimini di guerra commessi contro giornalisti palestinesi, denunciando come 46 reporter siano stati uccisi in territorio occupato dal 2000 senza che nessuna responsabilità sia mai stata accertata sulla loro morte, è altrettanto vero che uccidere il volto più noto di Al Jazeera, colei che da 25 anni era la corrispondente della principale testata del mondo arabo dai territori, denota come l’impunità di fronte a tali crimini non porti ad altro che ad alzare il tiro.

Le condanne formali, seppur importanti, non sono più sufficienti. Come non è più sostenibile il silenzio sui continui dinieghi di ingresso in Israele a difensori dei diritti umani e commissioni di inchiesta internazionali. Ultima in ordine di tempo la Delegazione del Parlamento Europeo, che ha dovuto annullare la propria visita di verifica della situazione nei territori occupati lo scorso 23 maggio a causa del rifiuto israeliano di concedere il visto di ingresso al Capo Delegazione.

Alla luce di questo, è oggi più che mai fondamentale che il nostro Parlamento impegni il governo a sollecitare la fine delle politiche sistemiche di oppressione, discriminazione e punizione collettiva dei palestinesi, compresi 15 anni di assedio sulla Striscia di Gaza e 55 anni di occupazione militare dei Territori Palestinesi, compresa Gerusalemme Est. Solo attraverso una moratoria sulle demolizioni, lo spossessamento di terre e la revoca dei diritti di soggiorno si potrà rendere concreta la volontà di riprendere i negoziati per avviare un processo di pace che si fondi sul diritto internazionale e sulla tutela dei diritti umani.

Partendo dalla richiesta di ritiro dei coloni dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, dall’immediata sospensione del blocco imposto sulla Striscia di Gaza, dalla cessazione dello sfruttamento illegale delle risorse naturali nei territori occupati e dal ripristino della presenza delle istituzioni palestinesi a Gerusalemme Est, chiediamo che il Governo Italiano ribadisca in maniera inequivocabile il sostegno alle organizzazioni della società civile, chiedendo che la designazione delle 6 organizzazioni dichiarate terroriste sia immediatamente revocata.

Infine si prendano misure concrete ogniqualvolta ad una missione diplomatica o ad una commissione di indagine venga impedito l’ingresso in Israele, iniziando a pretendere il rispetto degli obblighi di cooperazione con la Corte Penale Internazionale, affinché l’indagine per crimini di guerra avviata nel marzo 2021 possa svolgersi in tempi rapidi e senza condizionamenti

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