Il Ministro Nordio, che si è impegnato in prima persona per la modifica della Costituzione che limita pesantemente l’indipendenza della magistratura, ammette che, se approvata, essa non cambierà nulla nel funzionamento della giustizia per i cittadini: i processi resterebbero troppo lunghi, e così via.
Sorge spontanea una domanda: perché il governo ha imposto al Parlamento di approvare questa riforma? Perché ha evitato il confronto con le opposizioni, pur sapendo che alcuni settori avrebbero potuto essere disponibili? Azione, ad esempio, ha votato a favore. Perché puntare su soluzioni così controverse e affidare tutto al referendum costituzionale?
Le ragioni sono almeno due.
La prima è che l’intervento sull’indipendenza della magistratura rientra in un disegno più ampio, parte costitutiva del programma della destra: elezione diretta del Presidente del Consiglio, autonomia regionale differenziata – con trasferimento di poteri che la Corte costituzionale ha già dichiarato incompatibili con la Costituzione – e, appunto, l’attacco all’indipendenza della magistratura. Uno stravolgimento della Carta nata dalla Resistenza.
La seconda ragione è che l’esecutivo Meloni non tollera non solo le opposizioni, ma neppure la stampa e gli organi costituzionali che criticano scelte spesso prese senza rispetto dei principi fondamentali. La magistratura è il bersaglio principale di questo tentativo di zittire le voci scomode, alterando gli equilibri democratici.
Rivelando la stessa insofferenza di Trump per le critiche, fino a intervenire sulla libertà di stampa, non è un caso che Giorgia Meloni abbia dichiarato, in un fuori onda, di non voler parlare con i giornalisti se non con quelli “sicuri”, evitando conferenze stampa libere. Come altri aspiranti al potere incontrastato, mira a trasformare la democrazia in un’autocrazia, con il potere concentrato in una sola persona e un Parlamento ridotto a mero ratificatore.
Proprio per questo il governo sta accelerando l’iter della riforma. Alla Camera c’è già stata la seconda lettura; entro novembre toccherà al Senato. Ora c’è fretta.
A bloccare l’entrata in vigore potrà essere solo il referendum popolare della prossima primavera, ormai certo poiché il governo non ha ottenuto i due terzi dei deputati. La maggioranza di destra è convinta di vincere la consultazione, ma per farlo deve alzare il tono dello scontro politico e convincere quegli elettori conservatori attualmente perplessi dall’idea di stravolgere un pilastro liberale come l’indipendenza della magistratura.
Giorgia Meloni ha già cominciato, sfruttando perfino l’assassinio di un dirigente MAGA in Stati Uniti per riprendere i toni dei suoi peggiori comizi, persino di fronte a Vox, i neofranchisti spagnoli.
È vero: i risultati del governo sono scarsi, e quindi si alza la posta del conflitto. Ma non è solo questione di distrazione. È una grande contraddizione che l’esecutivo abbia moltiplicato i reati per tre anni per convincere gli italiani che si stia agendo sulla sicurezza. Sono aumentati gli anni di carcere inflitti e le incoerenze legislative, avvicinando la galera per un’occupazione di casa o un blocco stradale a quella per delitti contro la persona.
Queste iniziative contraddicono persino una parte della destra conservatrice ma non fascista. E c’è chi, come Forza Italia, mantiene nel simbolo il nome di Berlusconi – ormai ineleggibile – quasi in una vendetta postuma verso la magistratura.
La tradizione liberale difende la tripartizione dei poteri: il Legislativo fa le leggi e controlla l’esecutivo, il Governo opera nei limiti delle leggi approvate (anche quando modifica la Costituzione), la Magistratura applica le leggi e la Costituzione anche quando il governo vorrebbe stravolgerle, come nel caso dei centri per migranti in Albania.
Questo stravolgimento costituzionale serve a coprire un potere che non sopporta critiche, controlli e autorità indipendenti. La consonanza con gli atteggiamenti di Trump è impressionante. Senza una reazione democratica, il futuro della nostra democrazia è in pericolo.
La Costituzione dovrebbe ispirare tutta la legislazione, e invece si approvano leggi incostituzionali come quella Calderoli sull’autonomia differenziata e ora si modificano i cardini della Carta.
Queste modifiche sono sbagliate e vanno respinte al referendum con un netto No. Dal vaso di Pandora della rottura costituzionale potrebbe uscire di peggio: dal controllo governativo sulla pubblica accesa alla messa in discussione dell’obbligatorietà dell’azione penale.
La separazione delle carriere – che riguarda solo il 3-4% dei magistrati – incide sulla formazione unitaria della categoria e sul dovere di cercare prove sia a carico che a discarico. Ancora più grave è privare i magistrati del diritto di autogoverno attraverso un CSM unico, eletto da tutti, sostituendolo con due consigli i cui componenti verrebbero sorteggiati. Un passo verso un Parlamento sorteggiato? Una follia.
Accanto al comitato per il No promosso dai magistrati, serve un movimento più ampio della società civile: intellettuali, associazioni, cittadini. Per dire No alla controriforma Nordio e difendere la Costituzione da interessi di bottega.