L'istituto referendario, così come è stabilito dalla Costituzione, rappresenta un elemento essenziale della democrazia partecipata e nella recente storia del nostro Paese si è più volte dimostrato strumento indispensabile per la realizzazione della sovranità popolare.
Così è avvenuto, solo per fare alcuni esempi, in occasione dei referendum sul divorzio, sull'aborto, sulle centrali nucleari, ed ancora in occasione dei referendum costituzionali del 2006 e del 2016, quando in entrambi i casi, a difesa dello spirito della Costituzione del 1948, la maggioranza dei votanti ha bocciato le proposte di modifica.
Siamo oggi però davanti a cinque referendum, sui quali si voterà il 12 giugno, molto tecnici e settoriali, scarsamente comprensibili da chiunque non sia specificamente competente in materia giuridica, irrilevanti ai fini di una seria e complessiva riforma della giustizia. Colpisce che siano stati ammessi tali referendum e bocciati altri referendum, molto più comprensibili e vicini all'interesse e al sentimento popolare, come quello sulla cannabis e sul fine vita.
L'attenzione va perciò rivolta ad una urgente riforma del sistema giudiziario, che attui pienamente lo spirito e il disposto costituzionale, a cominciare dall'art. 101, che dispone che “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
Ciò che occorre è salvaguardare il diritto dei cittadini ad avere accesso a una giustizia più rapida, più giusta, più efficiente, in cui vengano in ogni modo tutelate l'imparzialità e l'autonomia del sistema giudiziario, la professionalità dei giudici, siano garantiti tempi certi alla giustizia penale ed alla giustizia civile, si salvaguardino i tre gradi di giudizio.
LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI