Via un problema ne restano mille

di Armando Spataro - lastampa.it - 14/06/2022
L’istituto del referendum, da sempre un fondamentale strumento di democrazia, rischia di vacillare

Amo altri generi musicali, ma - conosciuto l’esito del referendum, disastroso per proponenti e sostenitori del “SÌ” - mi sono venute in mente parole di una recente canzone di Orietta Berti, Fedez ed Achille Lauro: una donna, ad un certo punto, ringrazia chi le ha risolto un problema, ma ricorda che gliene “restano mille”. Mi scuso con i lettori per l’incipit “leggero” di questo commento, ma non nascondo che di leggerezza hanno bisogno tutti coloro che, almeno in quest’ultimo mese, si sono impegnati per il “NO”, in presenza e da remoto, scrivendo e parlando, dovunque fosse possibile. Si può ora tirare un sospiro di sollievo perché è stato evitato uno sfregio al Paese ed al suo assetto costituzionale.

La vittoria del “SI’” avrebbe permesso che pregiudicati e condannati per gravi reati diventassero candidabili o non decadessero da cariche esercitate in Parlamento o in amministrazioni territoriali, nonché da ruoli rivestiti nel Governo. Avrebbe scardinato il contrasto giudiziario di gravi reati seriali e contro la Pubblica Amministrazione impedendo l’adozione di misure cautelari (non solo il carcere, ma anche le altre meno gravi) nei confronti di indagati ed imputati per i quali sia ragionevolmente provato il pericolo di reiterazione di condotte criminali identiche a quelle per cui si procede. La vittoria del “SI’”, ancora, avrebbe cancellato una delle caratteristiche che più fa onore al sistema ordinamentale della giustizia italiana, cioè la possibilità che i pubblici ministeri possano chiedere di cambiare funzione, passando ad esercitare - in presenza di precisi e restrittivi criteri - quelle di giudici e viceversa. Per effetto dell’unica cultura che deve unire giudici e p.m. - quella della ricerca ed affermazione della verità - il nostro è un sistema che meglio tutela garanzie e diritti dei cittadini, al punto che dal 2000 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa auspica che gli altri Stati dell’Europa lo adottino come modello verso cui tendere. E da tempo è ormai auspicata una formazione comune di giudici e pm. Solo diffidenze offensive possono spingere a dubitare dell’onestà e professionalità dei giudici, accusandoli di adeguarsi alle richieste dei PM perché appartenenti alla stessa carriera, il che non ha neppure a che fare con il principio del giusto processo.

Non vale neppure la pena di commentare il quarto e quinto quesito, inutili entrambi e bizzarro l’ultimo: il disegno di legge di riforma Cartabia, già approvato alla Camera e la cui discussione riprenderà a giorni dinanzi al Senato, prevede soluzioni più serie da un lato per consentire all’Avvocatura di esprimere il proprio parere sulle valutazioni di professionalità dei magistrati e, dall’altro, per contrastare le criticità del cosiddetto correntismo che tocca innanzitutto alla magistratura demolire, posto il valore etico e culturale (nel quale credo) delle sue aggregazioni.

Dunque, la bocciatura “senza se” e “senza ma” di cinque pericolose ipotesi di riforma, nessuna delle quali - sia ben chiaro - aveva a che fare con l’obiettivo strumentalmente dichiarato del miglior funzionamento della giustizia, ha risolto gravi problemi ed evitato rischi. Quali sono quelli che restano?

Partiamo da quello che sarà detto dagli sconfitti: si denunceranno, come già è stato fatto, silenzio e disinformazione di Rai, canali privati e giornali! Una sciocchezza di grande dimensione per chiunque abbia potuto seguire programmi radiotelevisivi e leggere giornali: la parità tra le parti in gioco è stata rispettata e, semmai, nelle ultime settimane, ferma la libertà di stampa e di schieramento, sono stati più numerosi gli articoli e i commenti a favore del “SI”.

Gli sconfitti contesteranno l’accusa di incomprensibilità dei quesiti proposti, mossa anche da tanti accademici, e sosterranno che in ogni caso servivano e serviranno a stimolare il Parlamento a legiferare nei settori oggetto del referendum.

Si tratta di altra tesi di comodo. La comprensibilità dei quesiti referendari è il presupposto primo della loro legittimità sostanziale ed è indispensabile per il voto consapevole dei cittadini: non si trovino scusa allora per la scarsa affluenza al voto. Non pare, poi, che questo Parlamento, al di là di ogni possibile critica alle leggi prodotte, abbia bisogno di stimoli essendo quello che, da quando la Cartabia è Ministro della Giustizia, ha approvato più leggi in materia: leggi sull’ordinamento, su codice penale e processuale, sul codice civile, su informazione e presunzione di innocenza etc. E pendono poi altri disegni o proposte di legge anche sui temi oggetto di alcuni quesiti come quello sulla “Severino”, sulla limitazione dei passaggi di funzione tra giudici e pm, sul voto degli avvocati per valutare i magistrati e sulle procedure per eleggere i membri togati del CSM. Stupisce piuttosto che alcuni partiti sostenitori del “SI” abbiano già votato quelle leggi e disegni di legge, salvo poi spararvi contro e contraddirsi con i quesiti referendari e proposte di emendamenti modificativi. Ma quale la origine e quale la natura del problema che resta in campo e che ne vale più di mille?

Cerco di spiegarlo pensando anche ad altri referendum rispetto ai quali mi sono sempre schierato per il NO: quelli sulle due pessime riforme costituzionali, berlusconiana l’una (2006) e renziana l’altra (2016), nonché quella recente sul taglio dei parlamentari (2020). Contando anche quello di ieri, il fronte del NO ha sinora vinto 3 a 1.

Ma cosa ha unito questi referendum? Penso a ciò di cui Luciano Violante ha parlato in un suo recente libro, cioè il cambio generazionale, in particolare della politica, negli ultimi decenni: contano sempre meno cultura, patrimonio storico, analisi severe ed attenzione all’equilibrio tra i poteri dello Stato, nonché il dovere di conquistare consensi con coerenza rispetti ai principi declamati. Ora conta soprattutto “il culto del leader”, la sua immagine ed il suo potere da coltivare assecondando logiche populiste, enfatizzando il tema della sicurezza e marginalizzando il Parlamento. È anche per questo che l’istituto del referendum, da sempre un fondamentale strumento di democrazia, rischia di vacillare. Speriamo che i cittadini, come ieri è avvenuto, lo aiutino a riprendersi ed auguriamoci che non vinca il pensiero di Dick Cheney, Vice Presidente degli Sati Uniti durante l’Amministrazione di George W. Bush, che, come raccontato in un film del 2018 sul suo potere senza limiti e controlli, ebbe a sostenere la teoria dell’”Esecutivo unificato” che tutto decide, senza interferenze degli altri poteri.

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