“Sono stata felice e commossa nel vedere la popolazione sopravvissuta di Gaza ritrovarsi finalmente senza bombardamenti e con la possibilità di tornare quanto meno dove una volta c’erano le proprie case”, confida a FarodiRoma Maria Elena Delia, referente per l’Italia della Global Sumud Flotilla e Global Movement to Gaza. “Ma penso – aggiunge la Delia nel suo dialogo con il nostro giornale online – che un accordo deciso senza il minimo coinvolgimento dei palestinesi, che non contempli il contributo dei palestinesi ma che li veda solo come presenza apolitica guidate da un gruppo di potere di cui fanno parte personaggi come lo stesso Trump e come Tony Blair, non sia un buon viatico verso una Palestina libera e autodeterminata. La Palestina continua ad essere occupata illegalmente e fino a quando questa situazione non cambierà non potremo essere soddisfatti.
Maria Elena Delia tu hai conosciuto e sperimentato l’Utopia soprattutto con Vittorio Arrigoni e le varie flottiglie
Partiamo dall’inizio. La mia esperienza diciamo di attivista ha radici lontane, anche perché ho un’età, quindi ho cominciato a cooperare con movimenti e associazioni che si occupano di Palestina. Dal 2003, sostanzialmente e con quello che una volta, si chiamava appunto l’International Movement to Gaza.
Hai conosciuto Vittorio Arrigoni da quando è stato posto il blocco illegale a Gaza?
Ho conosciuto molti attivisti tra cui anche Vittorio Arrigoni da quando nel 2007 è stato imposto il blocco alla striscia di Gaza, il blocco illegale. Ricordiamo che alla striscia di Gaza il blocco non è stato imposto il 7 ottobre 2023, ma nel 2007. Dopo che appunto Hamas aveva vinto le elezioni a Gaza.
Cosa si intende per Free Gaza Movement e cosa è scaturito da questa avvincente missione politica e umanitaria?
Con il Free Gaza Movement abbiamo deciso di lavorare a questa idea pazza e l’idea pazza era appunto la seguente: visto che non ci fanno andare via terra a Gaza proviamo ad andare via mare. E così ha avuto inizio una grande avventura, perché oggi siamo abituati tra virgolette alle flottiglie, ma all’epoca nessuno aveva mai provato ad andare attraverso acque internazionali fino a Gaza. Noi lavorammo per più di un anno e nell’agosto del 2008, con due imbarcazioni con a bordo 41 attivisti, riuscimmo a rompere il blocco navale illegale e a sbarcare al porto di Gaza. All’epoca esisteva ancora un porto che oggi non esiste più. E riuscimmo ad arrivarci.
Ci fu poi una seconda flotta che arrivò a Gaza nel novembre del 2008 e dopo quella data nessun’altra barca è mai più riuscita ad arrivare a Gaza. Vero?
Sì. Certo. Però da quelle prime missioni si formò e si creò la Freedom Flotilla che tentò nel 2010 e nel 2011 e in tantissime altre occasioni fino a quest’estate e fino a pochi giorni fa con la Conscience che è proprio una barca della Freedom Flotilla si tentò sempre di rompere il blocco navale. Ho fatto parte della Freedom Flotilla sino al 2013, anche come referente per l’Italia nella coalizione internazionale per un paio d’anni.
Quando?
Diciamo qualche mese fa si decise di lavorare alla prima marcia su Gaza, ma poi soprattutto conoscendo anche tantissimi degli attivisti che ne facevano parte ed essendo la referente per l’Italia della Global Sumud Flotilla ho deciso così di contribuire, ma io, come tantissime altre persone.
Perché hai deciso di contribuire?
Ho deciso di contribuire perché ci siamo trovati di fronte a due anni di genocidio, in cui nessun governo, in particolare il nostro governo ha fatto nulla di significativo. Quindi porre delle sanzioni significative e non semplicemente di facciata, porre un embargo sulla fornitura delle armi, rompere i rapporti commerciali con lo stato di Israele.
Ma perché il governo e l’hetablishment politico continuano a negare il genocidio a Gaza?
Ancora oggi qualcuno nega che sia in atto un genocidio. Ecco il mio coinvolgimento, ma come quello di centinaia di migliaia di persone. Nasce dalla frustrazione e dal dolore e dal senso di impotenza che ha portato centinaia di persone di donne e uomini della società civile a decidere di mettersi, di mettere, come dire se stessi, su quelle barche, per provare ad attirare l’attenzione delle istituzioni e dell’Unione Europea e dei governi tutti, soprattutto della società civile in generale e crediamo che questo con le nostre 45 barchette a vela in qualche modo sia uno dei risultati sperati.
Siete riusciti a rompere il blocco illegale navale di Gaza?
Noi non siamo riusciti a rompere il blocco illegale navale di Gaza. Non siamo riusciti a portare i beni che avevamo a bordo alla popolazione civile di Gaza, però siamo riusciti a puntare un riflettore sulla situazione di Gaza. Una situazione di sudditanza che moltissimi governi ivi compreso il nostro hanno nei confronti del governo israeliano e su come questo governo israeliano violi tutti i giorni il diritto della persona, i diritti umani, il diritto internazionale. Le barche sono state intercettate e sequestrate. Le persone a bordo sono state arrestate. Tenute in condizioni di detenzione e diciamo disumane con la violazione del diritto alla difesa e alla violazione del diritto a ricevere beni essenziali e servizi essenziali come l’accesso a un bagno, all’acqua potabile.
Hanno dimostrato in minima parte che il governo israeliano non riconosce in alcun modo la legge?
L’hanno dimostrato in minima parte perché quello che è capitato a noi è un miliardesimo di quello che capita ogni giorno da quasi ottant’anni ai palestinesi. A noi al confronto non è successo niente, come dice Greta Thunberg, la storia non siamo noi. La storia sono i palestinesi che continuano ad essere vessati e a subire un’occupazione illegale non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania.
Infatti. Cosa avviene in Cisgiordania?
Non ci dimentichiamo della Cisgiordania. Dove peraltro non esiste Hamas e dove vengono compiute violazioni dei diritti umani palestinesi ogni giorno da quasi ottant’anni. L’azione delle flottiglie è azione di libertà e mi riallaccio a quello che ho appena detto. Non può essere sufficiente perché le flottiglie da sole sono solo uno strumento.
L’ho sempre detto noi siamo degli strumenti al servizio del popolo palestinese; perché il popolo palestinese non ha bisogno di noi per essere salvato. Anzi noi dovremmo solo imparare dal popolo palestinese quello che noi possiamo fare con i nostri privilegi di occidentali e di bianchi occidentali e di mettere in evidenza tutte le perversioni sociali e economiche che stanno dietro quello che succede alla Palestina e mettere in evidenza come il diritto internazionale diventi carta straccia quando si tratta di Israele.
Mettere in evidenza che il popolo palestinese ha il diritto di autodeterminarsi?
Sì. Vero. Con le barche e con altri mezzi riusciamo a mettere in evidenza e catturare l’attenzione di tutte e tutti anche grazie a tutte le mobilitazioni e alle associazioni e alle comunità palestinesi nei vari Stati comprese le comunità palestinesi in Italia che hanno fatto un lavoro eccezionale e tutte le associazioni che hanno lavorato in terra.
Cosa intendiamo con la locuzione “equipaggio di terra”?
Noi chiamiamo equipaggio di terra le mobilitazioni dei giorni scorsi che non sono avvenute grazie alla flotilla. Ma ci sono state perché a terra è stato fatto un lavoro politico straordinario che ha portato a vedere quel numero di persone in piazza per la pace e ha portato a vedere quei 2 milioni di persone in piazza durante lo sciopero.
Ecco è stato un lavoro di popolo. Allora se esiste un popolo che si muove, le persone possono davvero integrarsi con questo lavoro e con il loro potere simbolico e questa mattina qualcuno mi ha citato questa espressione. Esatto quando il potere simbolico e non solo simbolico, anche operativo, diventa in grado di catalizzare le mobilitazioni, la coscienza, la consapevolezza ecco questo è quello che secondo me è accaduto e oggi è il momento di non lasciare che questo patrimonio umano consapevole e coraggioso si disperda: noi dobbiamo lavorare per questo.
Laura Tussi