«Quando l’Agnello aperse il settimo sigillo, nel cielo si fece un silenzio di circa mezz’ora e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe».
Con questo versetto dell’Apocalisse si apre “il settimo sigillo”, capolavoro di Ingmar Bergman, girato nel 1957, che ha profondamente emozionato l’immaginario collettivo con la scena del Cavaliere che gioca a scacchi con la morte. Questa scena angosciosa è la metafora più adeguata per rappresentare la situazione a cui ci stanno portando gli ultimi sviluppi della guerra in Ucraina.
Il discorso di Putin la mattina del 21 settembre, infatti, ha evocato scenari apocalittici facendo comprendere all’opinione pubblica mondiale quanto sia concreto il rischio di un’ulteriore escalation del conflitto, in fondo alla quale c’è il ricorso alle armi nucleari. A fronte di questa prospettiva un brivido di repulsione e di paura ha percorso l’Assemblea Generale dell’ONU riunita a New York dove Biden ha bollato come irresponsabili le minacce di Putin perché “una guerra atomica non può essere vinta e non deve essere combattuta”. Però non è con la repulsione e con gli anatemi che si può contrastare l’annunciata escalation del conflitto.
Quando le truppe di Kiev hanno sfondato il fronte di Karkhiv e si sono avvicinate al confine russo, molti hanno esultato per questa sconfitta degli aggressori, determinata dal grande afflusso di armi occidentali, e ne hanno tratto conferma della validità della strategia USA-UE che punta alla “vittoria” dell’Ucraina. Addirittura la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, travestita da suffragetta di Zelensky, nel discorso sullo Stato dell’Unione (14 settembre), ha schierato l’Europa nella guerra contro la Russia, e si è detta convinta che “l’Europa avrà la meglio e Putin perderà”. Ringalluzzito dalla vittoria Zelensky, recatosi nella città di Izyum, appena riconquistata, ha promesso solennemente che anche la Crimea sarà liberata dalla dominazione russa. Un proposito questo che non sembra campato in aria poiché già nel mese di agosto si sono registrati attacchi a basi militari russe in Crimea. Del resto, secondo fonti di stampa americane, Zelensky avrebbe chiesto a Washington la fornitura di 2.000 missili balistici a corto raggio del sistema Atacms (Army Tactical Missile System), strumenti formidabili per la guerra di Crimea. Quello che i tifosi della NATO e di Zelensky non hanno capito è che la parziale sconfitta dei russi non apre la strada alla “vittoria” dell’Ucraina, ma ad un’ulteriore escalation del conflitto. Una superpotenza militare come la Russia difficilmente può accettare di essere umiliata. E la risposta non si è fatta attendere. Il discorso alla nazione di Putin non poteva essere più chiaro. La Russia reagisce alle batoste subite, incrementando la sua pressione militare e decretando la mobilitazione di 300.000 riservisti. Nello stesso tempo cerca di legittimare la presenza delle sue truppe dando il via libera ai referendum nelle repubbliche autoproclamate di Donec’k e Luhans’k e nelle regioni Kherson e Zaporižžja, territori solo parzialmente controllati dall’esercito russo. Putin ha affermato che “la Russia utilizzerà tutti i mezzi disponibili in caso di minaccia all’integrità territoriale (.) Coloro che cercano di ricattarci con armi nucleari dovrebbero sapere che le abbiamo anche noi”. In pratica Putin ci ha ammonito che, nel caso venisse minacciata la sua integrità territoriale la Federazione russa userebbe tutti i mezzi a disposizione. Infatti, secondo la dottrina militare russa in questo caso è previsto il ricorso alle armi nucleari. Qualche giorno prima Biden aveva diffidato Putin dal ricorso ad armi nucleari, affermando che la risposta americana “sarebbe consequenziale”.
Al centro di queste minacce incrociate c’è la questione della Crimea, annessa nel 2014, che la Russia considera parte della propria integrità territoriale. La Russia ci fa capire che, se minacciata di smembramento, non esiterà a ricorrere all’uso di armi nucleari tattiche e gli Stati Uniti ci dicono che essi reagiranno con lo stesso metro. Adesso la questione diviene ancora più complicata con la prevedibile annessione alla Russia dei territori occupati nei quali sono stati indetti i referendum.
In questo momento ci sono due Cavalieri (Biden e Putin) che giocano a scacchi con la morte. Dobbiamo far proseguire questo macabro gioco, appoggiando senza riserve i progetti di Zelensky (come ha fatto Draghi all’ONU) o è giunto il momento di dire basta e smettere di alimentare il conflitto e l’illusione del governo ucraino di “sconfiggere” la Russia e di riportare indietro di otto anni le lancette della storia?
Per fortuna l’inverno si avvicina.
Se dobbiamo andare dritti all’inferno è preferibile andarci d’inverno, come intuisce Fabrizio D’Andrè nella guerra di Piero
Ninetta mia, a crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio
Ninetta bella, dritto all’inferno
Avrei preferito andarci in inverno