Per dare un’idea abbiamo speso per la guerra in Afganistan 33 volte di più di quanto tutti in paesi dell’OCSE (il club delle nazioni più ricche) investono ogni anno per l’aiuto allo sviluppo (161miliardi).
In tutto questo l’Italia è stata attiva complice mandando sul campo migliaia di soldati e – come ha denunciato la campagna Sbilanciamoci – destinando 10 miliardi di euro, più del doppio di quanto spendiamo ogni anno per l’aiuto pubblico allo sviluppo (in tutto il mondo).
Ora, le forze politiche italiane si stracciano le vesti, senza ammettere le loro responsabilità, il fallimento oltre che della missione, anche delle loro idee e politiche guerrafondaie.
La popolazione afghana torna sotto il giogo dei talebani, le speranze delle donne e degli uomini di quel paese di vivere senza l’oppressione e la cappa di una dittatura finiscono tragicamente e amaramente.
Quanta retorica (umanitaria) è stata fatta su una guerra (camuffata da intervento di pace) che sarebbe servita per permettere alle donne di andare a scuola e all’università e di togliersi il burka e alla popolazione di sperimentare le virtù della democrazia e dei diritti umani.
Tutto finito. La guerra umanitaria, dai tempi del Kosovo, è solo un tragico ingannno, un ossimoro insostenibile. La guerra è sempre contro l’umanità.
Nei giorni in cui piangiamo la scomparsa di Gino Strada, val la pena ricordare la sua condanna della guerra “senza sè senza ma”. La guerra è un crimine, una violazione del diritto umanitario internazionale, non risolve i problemi, ma aggiunge altra sofferenza, nuove vittime.
Ci avevano detto che l’intervento in Afghanistan sarebbe servito a debellare il terrorismo, che invece si è propagato nel mondo: l’ISIS non è certamente un lontano ricordo; che sarebbe servito a portare la democrazia e i diritti umani, e così non è stato; che sarebbe servito a stabilizzare la regione, e così non è. “L’imperialismo dei diritti umani”, come una volta ebbe a definirlo infastuamente Tony Blair si è dimostrato per quello che è: imperialismo, e basta.
Quello cui assistiamo non è solo il fallimento dell’intervento in Afghanistan, ma il fallimento della guerra. E’ quello che i pacifisti dicono da anni: le guerre sono sempre fatte per interessi economici e strategici, di potere, un affare per i produttori di armi e una tragedia per la popolazione civile.
Bisognerebbe mettere in campo una politica di prevenzione dei conflitti, ma nessuno lo fa. Sarebbero necessarie delle Nazioni Unite con poteri e strumenti effettivi, veramente riformate e libere dal dominio delle grandi potenze, ma così non è.
Quando nel 1992 il segretario dell’ONU Boutrous Ghali promosse l’Agenda per la pace (che serviva a dare strumenti all’ONU per prevenire le guerre) fu irriso, sbeffeggiato. Quel documento finì nel cestino.
Servirebbe una politica (non militare) di promozione della pace, della cooperazione, dei diritti umani, ma non succede. Servirebbe il disarmo, ma le spese militari continuano a crescere.
Di chi è la responsabilità? Dei governi che continuano ad investire nella guerra, nelle armi, in politiche di potenza economica e strategica. Quello che l’Afghanistan ci insegna è che dobbiamo cambiare strada. La guerra porta solo rovine.