Il lavoro sporco di Israele e la terza guerra mondiale

di Domenico Gallo - domenicogallo.it - 23/06/2025
L’affermazione del Cancelliere Merz che: “Israele sta facendo il lavoro sporco per noi” seppellisce il principio ordinatore delle relazioni internazionali e riabilita la legge della giungla. Il mantra dell’aggredito e dell’aggressore è misteriosamente scomparso di fronte all’aggressione condotta da USA e Israele contro l’Iran

Quando il cancelliere tedesco Merz dichiara che “Israele fa il lavoro sporco per noi”, si deve accendere un campanello d’allarme. Questa dichiarazione è una spia che qualcosa non funziona nella nostra visione della democrazia e dello Stato di diritto. È necessario chiarire alcuni punti fondamentali.

È un dato di fatto che il progetto di ordine internazionale, preannunciato dalla Carta Atlantica (14 agosto 1941), partorito con la Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945) e fondato sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948), non si è mai completamente realizzato e adesso sta attraversando una crisi profonda che ne mette in dubbio persino l’esistenza giuridica dei suoi assiomi principali. L’ordine internazionale prefigurato dalla Carta ONU in qualche modo raccoglieva la sfida del perseguimento di una pace stabile ed universale fra le Nazioni da realizzarsi attraverso il diritto, sulla falsariga dell’insegnamento di Hans Kelsen in Peace through LawLa novità principale del nuovo diritto internazionale post-bellico consisteva nella messa al bando della guerra, proclamata categoricamente dall’art. 2, comma 4, della Carta di San Francisco: «I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.»

La Carta delle Nazioni unite non ha messo la guerra fuori dalla Storia (non avrebbe potuto), ma l’ha messa fuori dal diritto, espungendo dalle prerogative della sovranità lo ius ad bellum, o quanto meno degradandolo. Su questa scia è intervenuta la Costituzione italiana che, con gli artt. 10 e 11, ha messo la guerra fuori dall’ordinamento. Si è trattato di una scelta politica che ha cambiato la natura del diritto realizzando la fusione fra la tecnica giuridica e un’istanza etica di valore universale. La Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del delitto di Genocidio (9 dicembre 1948) e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948) hanno completato questo processo, quest’ultima attraverso l’inserimento nel diritto internazionale di una tavola di valori che mette al centro la dignità di ogni essere umano, in questo modo ponendo le basi del diritto internazionale dei diritti umani. Questa è stata la vera lezione positiva che l’umanità ha tratto uscendo dalla notte della Seconda guerra mondiale, la gloria del Novecento (come scriveva Italo Mancini), il patrimonio morale che l’Occidente (compresi i Paesi all’epoca socialisti) ha costruito per l’umanità intera. Oggi dobbiamo constatare che questo patrimonio morale è stato completamente dilapidato proprio da quei paesi che rivendicano i c.d. “valori” dell’Occidente. Con esso è stata demolita l’idea stessa posta a fondamento dell’Ordinamento nato sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, cioè che il diritto debba regolare le relazioni internazionali, assicurando la convivenza pacifica fra le Nazioni.

Quando il Cancelliere tedesco Merz ha dichiarato: “Israele sta facendo il lavoro sporco per noi”, senza che nessun paese europeo abbia avuto nulla da obiettare, con questa frase agghiacciante, è stato seppellito il principio ordinatore delle relazioni internazionali e rivendicata la legge della giungla. Questa dichiarazione ha scoperchiato l’insostenibile falsità della formula del “mondo fondato sulle regole” adoperata come una clava per alimentare la guerra per procura condotta dall’Occidente collettivo contro la Russia utilizzando il sangue degli ucraini. Ha smascherato l’ipocrisia delle giaculatorie europee e della NATO sulla guerra combattuta per ottenere il rispetto del diritto internazionale e la faziosità dei 18 pacchetti di sanzioni adottati a carico della Russia a fronte di nessuna sanzione ad Israele per fermare il genocidio dei palestinesi a Gaza. Il Mantra dell’aggredito e dell’aggressore è misteriosamente scomparso di fronte all’aggressione condotta da Israele contro l’Iran. Nessuno ha pensato di inviare delle armi all’Iran per difendersi dall’aggressione israeliana e nessuno ha invocato l’art. 51 della Carta dell’ONU (che consente la difesa collettiva) per sostenere il Paese aggredito. Al contrario, si sostiene lo Stato aggressore per aiutarlo a difendersi dalla reazione dell’aggredito, chiudendo gli occhi sull’orribile mattanza in corso a Gaza. Questa dichiarazione è l’equivalente di una piena confessione dell’uso strumentale di norme e principi del diritto internazionale, adoperati contra ius, come schermo giuridico per alimentare la guerra in Ucraina, anziché per porvi fine. Quali sono le regole del “mondo fondato sulle regole” invocato da Stoltenberg, dal suo successore Rutte, dalla von der Layen e compagnia bella? Se i principi universali del diritto non valgono per noi che li abbiamo prodotti nel secolo scorso a beneficio di tutta l’umanità, non valgono per nessuno, l’unica regola è la forza al posto del diritto. È proprio questa la regola a cui si riferisce Merz quando esprime apprezzamento per l’aggressione di Israele. Purtroppo l’effetto della legge della giungla sarà il caos e una condizione di guerra permanente.

La provocazione bellica compiuta da Israele, e rivendicata con arroganza dal suo ambasciatore presso le Nazioni Unite, svolge la funzione di detonatore di un conflitto più ampio, punta a coinvolgere direttamente gli Stati Uniti nella guerra, trascinandosi dietro, all’occorrenza anche gli Stati europei più volenterosi (come la Germania). È inutile nasconderci che ci sarebbe un esito disastroso, anche se le altre potenze come Russia e Cina restassero a guardare. L’Amministrazione Usa dapprima ha preso tempo, poi si è accodata a Israele bombardando i principali siti nucleari (reali o presunti) iraniani. La possibilità che si riesca a scongiurare un’esplosione di violenza bellica dalle conseguenze inimmaginabili e imprevedibili si fa sempre più flebile.

La speranza è che sotto i turbanti degli Ayatollah alberghi quel minimo di saggezza che manca nella testa dei leader europei come Merz e che, a suo tempo, mancò a Saddam Hussein, che per orgoglio rifiutò quella ritirata strategica che avrebbe gettato sabbia negli ingranaggi della macchina bellica che gli americani avevano predisposto nel Golfo.

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