La guerra da remoto, che la Santa Alleanza occidentale sta conducendo contro la Russia, per mezzo del martoriato popolo ucraino, appare sempre di più come un war game. Si schierano cannoni, carri armati, veicoli blindati, treni di munizioni e si controllano dall’alto gli avanzamenti o arretramenti del fronte. Si valuta quanto siano performanti i razzi per i sistemi di lancio Himars a guida Gps, quanto sia esteso il raggio d’azione dei nuovi missili Glsdb che Washington si appresta a fornire a Kiev, quanto sia superiore la tecnologia delle armi occidentali rispetto a quelle russe, per la maggior parte risalenti ai tempi dell’Urss.
L’informazione televisiva, con i suoi nugoli di inviati sul campo, ci fornisce la motivazione per partecipare al war game e per alzare la posta. Ogni giorno ci riferisce delle bombe cadute su questa o quella città, su questo o quel condominio, e ci recita la litania quotidiana dei morti civili, mostrandoci anche qualche volto addolorato, quanto basta per mantenere viva l’immagine disumana del nemico. Le riviste specializzate ci forniscono l’elenco dettagliato dei sistemi d’arma spiegati, delle munizioni consumate, dei costi sostenuti e di quelli programmati. Da lontano osserviamo il war game e vi partecipiamo facendo il tifo e incoraggiando gli attori internazionali ad andare avanti e sviluppare nuove strategie di forza. Del resto nell’opinione pubblica occidentale è finalmente decaduto quel tabù della guerra che si era radicato nella coscienza collettiva alla fine della Seconda guerra mondiale.
Il primo war game a cui abbiamo partecipato è stata la guerra contro la Jugoslavia condotta dalla Nato nel 1999: la prima volta di una guerra senza morti (nostri). Dalla televisione si vedevano solo le piroette dei jet nel cielo dei Balcani e i bagliori delle esplosioni nella notte. Non si sentiva il puzzo della carne bruciata, le urla dei feriti, l’odore del sangue, la disperazione delle madri. Quando la televisione serba ha cercato di farci vedere qualcosa degli effetti prodotti dai bombardamenti, la Nato l’ha immediatamente tacitata con un bombardamento chirurgico che ha causato “solo” 16 morti. Quindi abbiamo potuto guardare a quel conflitto senza inquietudine, come se si trattasse di un videogioco. Adesso che siamo passati a un gioco molto più pesante, la guerra viene accettata perché giocata da remoto, noi non ne siamo direttamente implicati, non mandiamo i nostri figli al fronte, non li vediamo tornare indietro nelle bare. Per questo possiamo lanciare proclami intransigenti sulla guerra giusta, o meglio sulla pace giusta, che può essere conseguita solo al prezzo della “vittoria” sul nemico.
Tuttavia, nonostante il gran battage mediatico, la realtà della guerra viene nascosta e censurata da entrambe le parti. Come ha scritto Domenico Quirico (La Stampa, 4.02): “La guerra avanza nel suo processo di disumanizzazione, riduce l’uomo a cosa, nel furore, comodo, di combattere una guerra a distanza… In Occidente stiamo perdendo il contatto con il genere umano”. Nessuna fonte indica il numero dei soldati uccisi, e quando azzardano delle cifre mentono. Secondo Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Zelensky, dall’inizio del conflitto armato, Kiev avrebbe registrato tra le 10.000 e le 13.000 vittime tra le forze armate, ma la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a dicembre aveva dichiarato che le perdite ucraine ammontavano a 100.000 soldati uccisi. Nello stesso periodo, il capo di Stato maggiore del Pentagono, il generale Mark Milley, sosteneva che le perdite dei russi ammontavano a circa 100.000 uomini.
Duecentomila giovani russi e ucraini spazzati via: cancellati per sempre i loro sogni e la loro vita. Scrive sempre Quirico: “Le cifre degli obitori e dei cimiteri sono l’unico dato che restituisce il senso vero della guerra”. Queste cifre ci vengono rigorosamente nascoste, nessuno ci mostra il caos degli ospedali militari riempiti di feriti e di morenti, né i cimiteri dove questi giovani vengono sepolti. Sappiamo soltanto che la macchina militare sta procedendo massicciamente al reclutamento. Kiev si aspetta che Mosca mobiliti 300-500 mila persone per gettarle sul campo di battaglia, mentre l’Ucraina ha avviato un’operazione di reclutamento forzato che punta ad arruolare 200 mila nuove unità. È fin troppo facile prevedere che le offensive e controffensive di primavera produrranno una nuova montagna di morti. Come nella Prima guerra mondiale, centinaia di migliaia di vite verranno sacrificate per spostare un confine un po’ più avanti o indietro. Siamo condannati a rivivere gli orrori di Verdun o di Stalingrado, come se non avessimo imparato nulla dalla Storia. Ha senso tutto questo? Se scompare il fattore umano la storia precipita nella barbarie.