L’aggressione russa all’Ucraina ha avuto come effetto collaterale una profonda spaccatura nella opinione pubblica occidentale.
Sul come reagire e aiutare il popolo ucraino si stanno distruggendo vecchie amicizie e militanze comuni durate anni.
Inutile nascondersi che, se sul ‘diritto a difendersi’ tutti sono d’accordo, su come esercitare tale diritto e soprattutto su come renderlo efficace senza sacrificare migliaia di vite umane le diversità di opinione sono importanti.
A quelli che, come me, si oppongono all’invio di ulteriori armamenti all’Ucraina e alla destinazione per il riarmo di risorse sottratte a soddisfare bisogni ben più importanti, viene spesso chiesto quale alternativa proponiamo in concreto. Vorrei provare a rispondere, contestando l’obiettivo (istintivamente comprensibile) della ‘vittoria’ ucraina, non solo perché improbabile, ma soprattutto perché la vittoria sul campo ci riporta indietro nella storia, alla prevalenza della forza sul diritto.
Credo che almeno in parte questa situazione dipenda dalla naturale resistenza a ammettere le nostre responsabilità. Perché delle cause di questa tragedia tutti i Paesi occidentali sono, più o meno, responsabili. Forse riconoscerlo aiuterebbe anche a pensare eventuali soluzioni.
Non mi riferisco solo alla progressiva trasformazione della NATO da alleanza esclusivamente difensiva in coalizione militare ampiamente condizionata dagli interessi USA, di cui è stato abbondantemente scritto, ma anche alla abulica passività con cui abbiamo accettato la mancata adesione da parte delle tre grandi potenze alla Corte Penale Internazionale dell’Aja, al progressivo depotenziamento dell’ONU e al mantenimento dell’anacronistico diritto di veto all’interno del Consiglio di Sicurezza dei Paesi considerati vincitori della seconda guerra mondiale.
Tutti elementi che, insieme al principio del non intervento negli affari interni dei singoli Stati (art. 2, punto 7. della Carta delle Nazioni Unite), appaiono in contraddizione con l’obiettivo della istituzione di un sistema di diritto internazionale formalmente condiviso da quasi tutte le nazioni nel 1945, necessario fra l’altro per dare concreta attuazione anche alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Se è comprensibile il disinteresse e addirittura l’ostilità delle grandi potenze verso ordinamenti internazionali che ne avrebbero condizionato le politiche neo-imperialistiche, meno giustificabile appare la passività della UE, le cui divisioni interne l’hanno resa sostanzialmente irrilevante sul piano internazionale.
Il mancato consolidamento degli strumenti internazionali ha impedito la risposta più ragionevole all’aggressione subita dall’Ucraina: l’intervento dell’ONU in base agli articoli 41 (intervento diplomatico) e 42 (intervento militare) del suo statuto.
Da notare che lo stesso statuto all’art. 51 riconosce il ‘diritto naturale’ all’autodifesa in caso di attacco e giustifica quindi anche la collaborazione armata di più stati, ma solo “fintantochè il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”.
Certo che dopo decenni di complice silenzio il ricorso al diritto si presenta ora più difficile, ma le migliaia di morti, le distruzioni, i milioni famiglie divise e in fuga, e infine la minaccia della guerra nucleare non ci lasciano scelta: l’unica alternativa alla guerra è la pace subito per dare spazio alla diplomazia e alla giustizia; e il disarmo, nella prospettiva di riprendere il cammino della civiltà che abbiamo abbandonato subito dopo averlo individuato dopo le stragi della guerra mondiale.
In questa prospettiva ha poco senso allargare il numero dei belligeranti e il volume delle armi in campo, come controproducente sarebbe la violazione provocatoria delle procedure per assorbire più rapidamente nuovi membri della NATO e della UE.
Anche perché c’è un’altra guerra che dobbiamo combattere tutti insieme per riuscire a bloccare la corsa verso il disastro ambientale che minaccia la sopravvivenza della umanità: è una guerra che non possiamo vincere divisi e impegnati in una egoistica corsa ad accaparrarci le residue risorse del pianeta.