Dal 22 aprile è in corso, nel totale silenzio dei media, la raccolta delle firme per indire tre referendum abrogativi, diretti, in due casi, a impedire la fornitura di armi all’Ucraina e ad ogni altro soggetto coinvolto in guerre e conflitti e, nel terzo, a contrastare lo smantellamento del Servizio sanitario nazionale. I tre quesiti referendari sono promossi da due diversi Comitati, “Generazioni future” (che ha proposto il quesito relativo all’abrogazione dell’art. 1 del decreto legge 2 dicembre 2022 n. 185, convertito in legge n. 8 del 27 gennaio 2023, che proroga al 31 dicembre 2023 l’autorizzazione parlamentare all’invio di armi in Ucraina, ed il quesito sulla esclusione dei privati dall’attività di programmazione annua sulle priorità di spesa del Servizio sanitario nazionale) e “Ripudia la guerra” (che ha proposto un quesito per abrogare la derogabilità parziale del divieto di esportazione di armi di cui alle legge 185/1990).
I due Comitati si coordinano per la raccolta firme con la campagna referendaria denominata “L’Italia per la pace”. I tempi della campagna referendaria sono rigorosamente prefissati dalla legge. La raccolta firme deve essere completata in tre mesi, entro il 22 luglio 2023, e dovrà raggiungere 500 mila firme valide da presentare alla Corte di Cassazione. Il deposito delle firme deve avvenire entro il 30 settembre e la Cassazione deve decidere sulla legittimità del referendum entro il 15 dicembre. Dopodichè la palla passa alla Corte costituzionale che deve decidere sull’ammissibilità delle richieste di referendum entro il 10 febbraio del 2024. Se ammessi, i referendum si dovrebbero svolgere fra il 15 aprile e il 15 giugno 2024. Si tratta di obiettivi importanti e condivisi da larga parte dell’opinione pubblica, eppure l’iniziativa non ha portato alla costituzione di uno schieramento unitario ed è stata accolta in modo assai tiepido da diversi settori della società civile ugualmente impegnati sul fronte della lotta per la pace.
Ciò accade per vari motivi, tra cui il mancato coinvolgimento della rete di associazioni pacifiste nella definizione del progetto, alcuni dubbi sull’ammissibilità dei quesiti e una malcelata insofferenza nei confronti di alcuni soggetti promotori, in passato coinvolti nei movimenti no vax, ovvero esponenti dell’estrema destra come Alemanno. Tuttavia, di fronte alla gravità della tragedia in corso, le logiche di schieramento devono essere messe da parte, la lotta per la pace non richiede il pedigree, né ammette confini di sorta. Del resto nella logica del referendum è implicita la convergenza di forze politiche differenti, coalizzate soltanto per lo scopo specifico. L’unico problema che bisogna porsi è la necessità di valutare se quest’iniziativa sia efficace nel contrastare la partecipazione italiana alla guerra e se possa conseguire risultati positivi.
Da questo punto di vista, se noi esaminiamo i quesiti, dobbiamo constatare che quello relativo alla L. 185/90 sull’esportazione delle armi è irrilevante, ove si consideri che il decreto che autorizza la fornitura di armi all’Ucraina è stato emesso, proprio in deroga alle disposizioni della legge sul commercio delle armi, mentre il quesito relativo al Servizio sanitario nazionale è estraneo alle vicende della guerra. Pertanto l’unico quesito astrattamente idoneo a contrastare l’invio di armi nel teatro di guerra dell’Ucraina è quello relativo all’abrogazione del decreto legge 2 dicembre 2022 n. 185, che proroga l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina sino al 31 dicembre 2023. Senonché, dati i tempi del referendum, scanditi rigorosamente dalla legge 25 maggio 1970 n. 352, quando la Corte costituzionale sarà chiamata a giudicarne l’ammissibilità, non potrà che dichiarare il quesito inammissibile, essendo cessata la proroga al 31 dicembre 2023.
E’ ben vero che la Cassazione, Ufficio Centrale per i Referendum, può trasferire il quesito sulle nuove norme che venissero emanate allo stesso fine, come fece a suo tempo per salvare il referendum sul nucleare, ma questa competenza può essere esercitata soltanto nel caso che la Corte Costituzionale abbia dichiarato ammissibile il quesito referendario. Una volta che la Corte Costituzionale dichiari inammissibile il quesito referendario perché la proroga è scaduta, il procedimento finisce lì ed il Governo sarà libero di emanare nuove norme senza lo spauracchio del referendum.
Tuttavia l’utilità di promuovere un referendum abrogativo non dipende esclusivamente dalla astratta possibilità di ottenere il risultato prefigurato per legge. A volte la pendenza di una richiesta referendaria costituisce uno stimolo per il Parlamento e costringe i partiti a confrontarsi con le domande politiche veicolate dall’iniziativa referendaria. In questo caso la domanda politica è chiara ed inequivocabile: basta guerra, no alla fornitura di armi per alimentare il massacro in corso. Si tratta di una mozione di sfiducia delle scelte sin qui operate dalle élite politiche italiane ed europee. La raccolta delle firme sui quesiti referendari è uno degli strumenti attraverso il quale si può coagulare ed esprimere il dissenso del popolo italiano per la necropolitica che ci porta in guerra. L’obiettivo di raggiungere 500.000 firme nel tempo breve di tre mesi, a fronte del boicottaggio di tutti i mezzi d’informazione, è particolarmente difficile, ma darebbe un segnale importante. Costituirebbe un passo avanti nella lotta per la pace. Un buon motivo per sostenere l’iniziativa.
(articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 8 giugno 2023 con il titolo: Pace, i tre referendum sono “desaparecidos”)