Anche se imperterrito, Zelensky ripete che la guerra finirà con la vittoria ucraina, segnali di scontento giungono dai suoi padroni americani, ma persino da taluni dei servi sciocchi europei, dalla Francia (Sarkozy, per esempio) alla Bulgaria, che recalcitra sulle armi. Qualche crepa insomma si apre o si approfondisce nel fronte occidentale, come dimostra da ultimo l’incontro del generale Milley con papa Francesco o la presa di posizione di un ex collaboratore di Obama, Tom Malinowski, mentre il cardinale Zuppi porta avanti, con prudenza, la linea pacifista del Pontefice. Molti scommettono che abbastanza presto vi sarà un improvviso cambio al vertice a Kiev, più o meno indolore, per estromettere colui che è oggi uno dei principali ostacoli alla pace: la longa manus di Washington, insomma, farà sentire il suo peso, e dell’eroico combattente rimarrà solo il ricordo, forse neppure tanto benevolo.
Personalmente non credo a un’intesa fintanto che Zelensky rimarrà al potere, e sono portato a temere che la guerra durerà molto a lungo. Una sorta di nuova “Guerra del Peloponneso”, il conflitto tra Sparta e Atene che durò ben 27 anni tra il 431 e il 404 avanti Cristo. Del resto le similitudini tra quella guerra e l’attuale sono numerose e potenti. Proprio in relazione allo scontro fra le due polis greche, a partire dall’attenta narrazione che ne fece Tucidide, un professore di Harvard, Graham Allison nel 2012 in un articolo sul Financial Times coniò l’espressione, poi entrata nell’uso della politologia, “trappola di Tucidide”. Ossia: quando una potenza egemone vede sorgere o crescere uno Stato (e qui stiamo parlando di città-Stato, le polis greche, appunto) che potenzialmente può mettere in crisi la sua egemonia, fino a sostituirla con la propria, la potenza egemone passa all’attacco; o, con maggiore raffinatezza tattica, fa in modo che sia proprio l’antagonista a passare all’azione, diventando “aggressore”. Ecco la parola magica: quante centinaia di volte siamo stati zittiti nel pubblico dibattito dall’affermazione perentoria: “C’è un aggressore e un aggredito”? E con questo ogni tentativo di condurre un’analisi dei fatti, ricostruendo la genesi del conflitto, mettendo in evidenza i diversi attori in campo, veniva impedito. Ebbene, quando Allison scriveva quell’articolo, che poi fu alla base del libro Destinati alla guerra (edizione italiana, Fazi 2017), aveva in mente lo scontro fra Usa e Cina, tema sempre di attualità, che tuttavia oggi è provvisoriamente sostituito da quello Usa-Federazione Russa combattuto sul suolo ucraino.
È evidente che il ruolo di Sparta, potenza egemone, oggi è svolto dagli Stati Uniti, mentre Atene è la Federazione Russa, che dopo lo sciagurato decennio di Boris Eltsin, ha ricuperato buona parte del proprio potenziale economico, finanziario, militare e porta avanti la sfida del multipolarismo (e della “de-dollarizzazione”, rilanciata ora con vigore da Lula al vertice dei Brics in Sudafrica) contro la pretesa di Washington di tenere il mondo in scacco sotto l’unipolarismo a guida Usa. La potenza dominante ed egemone, gli Usa, non potevano tollerare questa vera e propria “rinascita” russa, e con una serie di azioni politiche, militari e ideologiche, hanno messo Putin con le spalle al muro, facendolo cadere nella trappola tucididea: l’“aggressione” all’Ucraina.
E qui ci soccorre un altro autore, un generale e studioso tedesco, Heinrich Joris von Lohausen (coinvolto nella congiura contro Hitler e sfuggito alla vendetta, tanto da ritrovarsi a Norimberga nelle vesti di accusatore di Goering): costui ci ha spiegato che è sempre necessario distinguere l’aggressore “strategico” dall’aggressore “operativo”: il primo prepara le condizioni che spingeranno il secondo ad agire.
Da Tucidide a Von Lohausen, passando per Allison, non sembra che siamo oggi esattamente in questa situazione? Le provocazioni Nato, con la regia Usa, hanno costruito la perfetta rete dell’aggressore strategico, lasciando alla Russia la parte operativa. D’altronde Putin si è trovato davanti a un dilemma, ossia una situazione con due vie d’uscita ambedue negative: rimanere inerte davanti al sistematico massacro dei “fratelli” del Donbass, sotto attacco di Kiev fin dal 2014, e rompere di fatto con loro, oppure intervenire militarmente, attirandosi le ire occidentali: sanzioni, sequestro (illegale e illegittimo) di beni dello Stato russo all’estero, russofobia dilagante.
La guerra del Peloponneso finì con la vittoria spartana, ma come recita il motto “Se Atene piange, Sparta non ride”, fu una sconfitta per tutto il mondo greco, che perse la sua egemonia sulla scena mediterranea. Se il conflitto ucraino proseguirà, è probabile che non ci sarà un “vincitore”, ma piuttosto una sconfitta generale, e in primo luogo dell’Europa, che diventando una mera appendice politica della Nato, perderà per sempre anche quella egemonia ideale che l’ha vivificata in passato. È questo che vogliamo?