La negatività assoluta interioristica porta alla disumanizzazione e deumanizzazione dell’altro da noi che quindi diventa nemico da sottomettere, da schiavizzare, da annientare, da dimenticare come avviene negli attuali conflitti armati imposti in tutto il mondo dai poteri forti
E davvero evidente che la demonizzazione del nemico costituisce un meccanismo di difesa rispetto al negativo che rifiutiamo dentro di noi, come persone, ma anche come gruppi sociali, in quanto l’altro e gli altri si configurano come una realtà separata di deumanizzazione e distruttività.
La responsabilità della scuola nel processo di deumanizzazione dell’altro a partire dalle leggi razziali e dall’atroce indottrinamento balilla del tragico periodo fascista che è poi trasmutato orrendamente nel nazifascismo più abominevole
Anche la scuola ha dato inconsapevolmente, forse, il proprio contributo al processo di deumanizzazione quando ha esaltato il concetto di identità nazionale, dimenticando che siamo tutti cosmopoliti, cittadini del mondo, figli di madre terra.
E’ evidente la necessità di riconoscersi nel “volto dell’altro” per attivare processi di pace e percorsi di nonviolenza attiva e efficace per superare l’odio atavico e la violenza degli attuali genocidi in primis in atto a Gaza e in Cisgiordania e in Libano. Fecero il deserto e lo chiamarono pace e regno di dio…
Il riconoscimento dell’altro come simile a sé transita attraverso la condivisione, lo scambio, la comunicazione delle emozioni e dei sentimenti. Per esempio all’interno del gruppo classe è possibile aiutare il bambino a riconoscere nel compagno, con cui spesso litiga, il proprio stesso vissuto, come questa comunicazione deve essere facilitata tra i gruppi sociali, soprattutto i contesti che il bambino vive come nuovi, diversi e pericolosi.
Per risolvere il processo di deumanizzazione occorre facilitare le occasioni di condivisione, di scambio, di incontro, sottolineando tutte le cose che uniscono, anziché ciò che divide nell’amore e nella condivisione e nell’accoglienza dell’altro
I mezzi di comunicazione di massa negano implicitamente per i loro messaggi lumanità dei singoli e dei gruppi sociali, facilitando ostacoli che si frappongono all’incontro tra i bambini, tra le donne, tra gli uomini, tra i gruppi sociali.
L’educazione è ‘arma’ o meglio strumento di pace per educare al dialogo per creare e costruire contesti e ambiti di pace, nell’incontro con l’altro da sé, e non per scadere nella competizione sfrenata, nella comparazione perché ogni persona è un unicum, è una intelligenza, è una identità che diventano il volto dell’altro
Un’educazione alla pace si deve proporre di facilitare l’acquisizione di atteggiamenti cooperativi e non competitivi, oltre a favorire le condizioni per un uso non lesivo, ma adattivo dell’aggressività nella sicurezza, la possibilità di affermazione di sé, l’identificazione con l’altro.
E’ necessario fare proprie e far diventare prossimo le esigenze dell’alterità nelle implicite diversità e nelle innate differenze che distinguono ogni persona dall’altra e nel soggetto persona che diventa irripetibile nel suo essere e umano e animale
Gli studi sull’acquisizione dei comportamenti cooperativi e non competitivi e sulla genesi di atteggiamenti costruttivi indicano che queste caratteristiche non lesive della relazione sono strettamente correlate con la capacità di allontanarsi, sia emotivamente, sia cognitivamente, dall’impellenza delle situazioni frustranti e conflittuali, al fine di trovare una risoluzione complessa e mediata, tenendo presente l’esistenza e le esigenze dell’alterità.
La risoluzione pacifica del conflitto va ricercata nell’amore per se stessi e per gli altri, superando i limiti dell’egoismo, dell’egocentrismo e della volontà competitiva di primeggiare e imporsi sopra il tutto
La ricerca di una soluzione pacifica, cooperativa e collaborativa comporta un impegno di decentramento cognitivo dalla situazione emotiva che deve essere analizzata in un’ottica decentrata, appunto dall’esterno, per ritrovare soluzioni ulteriori, più complesse e mature che richiedono una ristrutturazione del campo cognitivo, ossia una rivalutazione degli elementi complessivi della situazione, in una prospettiva globale, dove emergano connessioni e collegamenti innovativi.
La rapidità con cui si intuiscono queste risoluzioni non deve trarre in inganno sulla complessità del processo di ristrutturazione cognitiva e di distanziamento e decentramento emotivo dal proprio ego narcisistico
Sussiste un diretto collegamento tra capacità collaborativa e facoltà di simbolizzazione, attraverso cui il bambino e l’adulto realizzano il distacco dall’immediatezza della realtà, rendendo possibile la ristrutturazione cognitiva. Collaborare significa trovare un percorso comune complesso e difficile, che tenga conto delle esigenze complessive nella soluzione di situazioni di opposizione. Educare alla pace significa anche stimolare la capacità di simbolizzazione del bambino.
La scuola deve porsi l’obbiettivo di insegnare a dialogare anche quando sorge il conflitto, sostando in esso come un valore, una risorsa, un ideale che può giungere ad una pattualità collaborativa e di dialogo tra più parti
Una delle più importanti manifestazioni della capacità simbolica è il linguaggio, per cui il primo compito della scuola consisterà nell’aiutare i bambini ad esprimere personali emozioni, sentimenti e stati d’animo come l’aggressività, in forma verbale, tramite lo scambio verbale e la discussione, tramite cui risulta attuabile un processo di pattualità e negoziazione che consente di vagliare ed esaminare i punti di vista altrui, fino a giungere ad una soluzione cooperativa e collaborativa.
Laura Tussi