Siamo arrivati al trentesimo giorno di guerra. Ogni giorno che passa crescono la violenza, la disumanità, il dolore. Il conflitto si avvita su se stesso e semina giacimenti di odio che in futuro sarà molto difficile prosciugare. Adesso è sotto assedio anche una città splendida come Odessa che, in passato, ha avuto un rapporto strettissimo con l’Italia. Basti pensare che nel secolo diciannovesimo l’italiano era la seconda lingua ufficiale: non a caso la più famosa canzone napoletana di tutti i tempi, “O’ sole mio”, venne scritta da Eduardo di Capua nel 1898 proprio a Odessa. Purtroppo il “sole nostro” in questo momento è oscurato da una nube nera che grava sull’Europa intera e sui nostri cuori. Ogni giorno che passa cresce la possibilità di un’escalation incontrollabile del conflitto. Se nel teatro ucraino sono le armi che intonano il lugubre canto di guerra, negli USA e in Europa è la politica che parla il linguaggio della guerra e diffonde l’isteria bellica nella società e nelle istituzioni, arruolando l’opinione pubblica per partecipare ad un conflitto – per adesso ancora figurativo – contro il nemico esterno.
Giovedì il Presidente americano Biden è venuto a Bruxelles per partecipare non solo al vertice straordinario della NATO e al G7 straordinario convocato dalla Germania, ma anche al Consiglio europeo, convocato per il 24 e 25 marzo, per una discussione sul sostegno all’Ucraina e al suo popolo e sul rafforzamento della cooperazione transatlantica in risposta all’aggressione russa. Il Consiglio europeo è la massima istituzione dell’UE che definisce priorità e orientamenti politici generali dell’Unione europea. Il fatto che vi partecipi il Presidente degli Stati Uniti a dettare la linea all’Unione Europea non può che inquietarci. In realtà la presenza di Biden in quel consesso rafforza lo schiacciamento dell’UE sulla NATO, che nel suo vertice straordinario ha deciso di schierare quattro nuovi gruppi di battaglia in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia e di rafforzare la sua postura in tutti i campi (terra, aria, mare, spazio e cyberspazio), continuando a fornire ulteriori aiuti militari all’Ucraina. Secondo gli USA, Il vertice trans-atlantico sarà l’occasione per rilanciare l’immagine di una alleanza tra Nato e Unione europea che procede nella massima unità, e che si contrappone a Mosca senza distinguo al suo interno. In realtà dei distinguo andrebbero fatti perché gli interessi europei e americani sono obiettivamente divergenti, se non antitetici.
L’Europa ha bisogno che si ponga fine immediatamente alla guerra; gli Stati Uniti, invece, vogliono che la guerra continui (anche se per procura) per indebolire, fiaccare e isolare la Russia e mantenere tutta l’Europa strettamente nella loro sfera d’influenza. Il fatto che l’offensiva militare russa – secondo il Pentagono – si sarebbe impantanata per la notevole capacità di resistenza delle forze armate ucraine, rende concreta la tentazione per gli USA di uno scenario tipo Afganistan nel cuore dell’Europa e scoraggia ogni trattativa di pace. Ha osservato Barbara Spinelli: «Per l’Europa e l’Italia il proseguimento bellico è una sciagura, sia che Putin perda sia che vinca. Avranno un caos che durerà decenni ai confini orientali. E se l’Ucraina entra nell’Unione gli equilibri si sbilanceranno a Est ancor più di quanto già lo siano, da quando l’UE ha incorporato Paesi più interessati alla Nato che all’Europa (soprattutto Polonia e Baltici)» (Il Fatto Quotidiano, 21 marzo 2022). A dire il vero gli effetti negativi della guerra, come l’ondata dei profughi, si abbattono sull’Europa ma non hanno nessuna incidenza sugli Stati Uniti. La restrizione o l’interruzione dei rubinetti del gas della Russia danneggerà l’Europa ma avvantaggerà gli Stati Uniti, che potranno venderci il loro gas molto più costoso; le sanzioni commerciali alla Russia hanno un’immediata ricaduta negativa sull’economia degli Stati europei, ma costituiscono un’occasione di crescita per l’economia USA; il riarmo dell’Europa sarà un affare colossale per il complesso militare industriale americano, ma non gioverà ai sistemi di sicurezza sociale europei. Il prosieguo delle sanzioni dopo la guerra nuocerà all’Europa ma gioverà agli USA.
L’Europa che indossa l’elmetto e si infogna in una semiguerra con la Russia fino al punto da rischiare lo scontro diretto con una potenza nucleare ha deciso di sparire come potenza politica, annullandosi nella NATO. In questo modo si avvia inconsapevolmente sulla strada del suicidio, rinunciando a tutelare i bisogni e gli interessi fondamentali dei suoi cittadini.
Invece l’Europa, esigendo la fine immediata delle ostilità, dovrebbe aprire una trattativa con la Russia che preveda la costruzione nel medio termine di un sistema comune di sicurezza, indipendente dalle strategie Usa, fondato sulla riduzione reciproca e concordata degli armamenti e la normalizzazione delle relazioni commerciali e politiche, col ritiro delle sanzioni. In questo contesto dovrebbe essere garantita la neutralità dell’Ucraina e avviato un programma di investimenti per la ricostruzione post-bellica. Limitarsi a dire che «Putin non vuole la pace», come ha fatto Draghi, dopo il collegamento di Zelenski con il Parlamento italiano, è una dichiarazione di impotenza che riflette la drammatica assenza di iniziativa politica dell’Italia e dell’UE. Offrire soltanto minacce rispecchia la teologia politica della Nato, non i nostri interessi. Ma, quel che è più grave, non fa avanzare di un centimetro la causa della pace