Scriveva Edgar Morin, già ne La testa ben fatta, che “più i problemi diventano multidimensionali, più si è incapaci di pensare la loro multidimensionalità; più la crisi progredisce, più progredisce l’incapacità a pensare la crisi; più i problemi diventano planetari, più essi diventano impensati. Un’intelligenza incapace di considerare il contesto e il complesso planetario rende ciechi, incoscienti e irresponsabili” (ed. italiana, 2000) . E in effetti, la cecità, l’incoscienza e l’irresponsabilità – oltre vent’anni dopo – sembrano essere la cifra predominante nel discorso pubblico, incapace di considerare che il precipitare della crisi politica italiana si inserisce all’interno – ed è un effetto collaterale – della crisi sistemica, che è insieme crisi ecologica, energetica, pandemica, bellica, alimentare, sociale e infine culturale. La crisi del pensiero, in specie politico, in Italia è così grave che non riesce a pensare la complessità della crisi nella quale siamo immersi, ma solo a balbettare di posizionamenti elettorali sulla crisi di governo, incapace di collegare l’effetto locale – e le possibili soluzioni – alla crisi globale.
Eppure, solo poche settimane fa era stato chiesto agli studenti all’esame di maturità di misurarsi con un ragionamento sulla complessità di Luigi Ferrajoli, rispetto al quale la stessa politica è incapace di interloquire adeguatamente: “Questa pandemia [è] un campanello d’allarme che segnala tutte le altre emergenze globali, consiste nel fatto che essa si è rivelata un effetto collaterale delle tante catastrofi ecologiche – delle deforestazioni, dell’inquinamento dell’aria, del riscaldamento climatico, delle coltivazioni e degli allevamenti intensivi – ed ha perciò svelato i nessi che legano la salute delle persone alla salute del pianeta. (…) Colpendo tutto il genere umano senza distinzioni di nazionalità e di ricchezze, mettendo in ginocchio l’economia, alterando la vita di tutti i popoli della Terra e mostrando l’interazione tra emergenza sanitaria ed emergenza ecologica e l’interdipendenza planetaria tra tutti gli esseri umani, questa pandemia sta forse generando la consapevolezza della nostra comune fragilità e del nostro comune destino. Essa costringe perciò a ripensare la politica e l’economia e a riflettere sul nostro passato e sul nostro futuro” (in Perché una Costituzione della Terra?, 2021).
Un ripensamento ancora più necessario e urgente visto l’aggiungersi della crisi bellica precipitata anche in Europa, con l’occupazione russa dell’Ucraina, con la minaccia nucleare e con l’incapacità della stessa Europa di svolgere l’autorevole ruolo di mediazione che le dovrebbe competere. Eppure il ripensamento è assente, nonostante questa guerra acceleri, aggravi e alimenti tutte le altre crisi. Del resto la crisi sistemica globale è generatrice di crescenti conflitti – l’ultimo censimento dell’Università di Uppsala nel 2020 mappava 169 conflitti armati, tra bassa, media e alta intensità (“la guerra mondiale a pezzetti”, ha ripetuto inascoltato papa Francesco) – per l’accaparramento dell’acqua, dei flussi energetici, delle residue terre coltivabili, delle risorse fossili e minerali… rispetto ai quali non ci si può preparare con più armi, più guerre e più politiche di potenza – secondo l’obsoleto e irrazionale riflesso pavloviano – pena anticipare con la catastrofe atomica la catastrofe ambientale, anziché risolverla. Al contrario, semmai, ci si deve preparare cominciando proprio dal disarmo, liberando le incredibili risorse pubbliche che sono intrappolate nella corsa agli armamenti, nazionale e internazionale, e approntando strumenti di gestione dei conflitti alternativi alla guerra. La pace con mezzi pacifici, secondo Costituzione.
O questa complessità interconnessa diventa il centro della campagna elettorale – con programmi e candidati all’altezza della situazione, come non è stato finora – oppure chiunque vinca ne sarà irrimediabilmente travolto, insieme al Paese. Invece – nonostante i recenti appelli del Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres (“Abbiamo una scelta: l’azione collettiva o il suicidio collettivo. E’ tutto nelle nostre mani”) e di Amnesty International (“L’immobilità dei governi di fronte alla crisi climatica sarà la più grave violazione intergenerazionale dei diritti umani della storia”) – l’alternativa alle prossime elezioni italiane sembra essere tra l’”Agenda Draghi” e quella di Salvini e Meloni. Due visioni che – almeno sui temi della guerra e della pace – risultano sovrapponibili: tutti coloro che vi si riconoscono hanno votato in parlamento sia l’invio delle armi al governo ucraino, sia l’aumento delle spese militari al 2% del PIL (prodotto interno lordo). Nessuno sembra avere sufficientemente chiaro che per affrontare la crisi sistemica globale nella quale siamo precipitati, con qualche possibilità di salvezza, è necessaria un’agenda ecologista e pacifista. Ossia radicale, in quanto capace di andare alle radici della crisi e cercarne a quel livello le soluzioni. I temi li indicano da tempo i movimenti per la pace e per la conversione ecologica dell’economia1.
Già alla fine del secolo scorso, il fisico nonviolento Giovanni Salio indicava la stretta connessione di queste questioni: “così come si propone un modello di difesa e di risoluzione dei conflitti ispirato alla difesa difensiva, non offensiva, non provocatoria, che ponga un limite superiore alla follia della corsa agli armamenti e alla capacità distruttiva dei sistemi d’arma, si propone anche un modello di sviluppo sostenibile rispetto al futuro, nei confronti sia delle generazioni che verranno sia della capacità di autorigenerazione dei sistemi” (Il potere della nonviolenza, 1995). Anche gli scienziati internazionali, già lo scorso dicembre, proponevano il Dividendo di pace con un taglio del 2% annuo delle spese militari globali, dal quali reperire le risorse per fare fronte alla crisi planetaria. Si tratta dunque definire un’agenda politica che non abbia un generico e residuale accenno alla pace ed all’ecologia (ossia retorica della pace e greenwashing) ma – almeno sul versante pacifista – questi precisi ed ineludibili punti programmatici fondati sulla teoria e la pratica del disarmo:
1. riconversione sociale delle spese militari, anziché la riconversione militare degli investimenti civili che ci hanno visto affrontare la pandemia da covid-19 dopo 37 miliardi di tagli alla sanità in quindici anni anni e – nello stesso periodo – l’aumento di oltre il 20% della spesa per gli armamenti, oggi arrivata ai 26 miliardi all’anno che diventeranno 40 con l’aumento al 2% del PIL;
2. riconversione civile dell’industria bellica, indispensabile nel paese che ha un fiorente export di armamenti – spesso in violazione o in deroga alla legge 185/90 – che alimenta decine di guerre anche nei confronti di paesi come l’Egitto (che è il nostro primo partner bellico), dal quale invece siamo presi regolarmente in giro sul rispetto dei diritti umani e, in specifico, sulla ricerca di verità e giustizia per l’omicidio di Giulio Regeni;
3. sottoscrizione del Trattato internazionale per la proibizione delle armi nucleari (TPNW): entrato in vigore nel 2021 perché sottoscritto da oltre cinquanta Stati, non è stato sottoscritto dal governo italiano, nonostante l’appello di decine di consigli comunali e nonostante il nostro paese – grazie al fatto che tra Aviano e Ghedi sono pronte ad essere lanciate decine di testate nucleari USA – sia un sicuro target nucleare, nella guerra atomica minacciata;
4. costituzione dei Corpi civili di pace, su un piano nazionale e internazionale, come strumento indispensabile per intervenire nei conflitti, prima che essi degenerino in guerre con l’arrivo di armi ed armati, come invece successo in Donbass fin dal 2014. E’ lo strumento proposto e progettato da Alex Langer – e rilanciato dalle organizzazioni per la nonviolenza e il disarmo – come lezione tratta dalla guerra fratricida nella ex Jugoslavia. Che, finora non abbiamo imparato;
5. costruzione della Difesa civile non armata e nonviolenta, mettendo in fila in maniera razionale – e costituzionale – la priorità delle minacce dalle quali è necessario difendersi ed allocando le risorse di conseguenza: nel paese dove le temperature superano i 40 gradi ed è oggetto – estate dopo estate – di crescenti e devastanti incendi da sud a nord, abbiamo solo 15 canadair per spegnerli e stiamo acquistando invece, da anni, ben 90 cacciabombardieri F35 capaci di appiccare incendi nucleari in giro per il mondo.
L’elenco potrebbe continuare, ma questi sono solo i primi, indispensabili, punti di un’agenda pacifista per affrontare la crisi sistemica globale. A cominciare dalle prossime elezioni italiane. Per provare a fuoriuscire dallo stato di cecità, incoscienza e irresponsabilità nel quale siamo profondamente precipitati.
1Se ne può trovare un approfondimento anche in Pasquale Pugliese, Disarmare il virus della violenza. Annotazioni per una fuoriuscita nonviolenta dall’epoca delle pandemie, GoWare, 2021