Con questo risultato elettorale è indispensabile che tutte le sinistre politiche, grandi e piccole, decidano un autoesame e individuino i capisaldi della loro posizione politica. Continuare a sottovalutare le destre, la loro vittoria, sarebbe diabolico.
Letta ripercorre gli errori di Veltroni
Nel 2008 ci ha provato Veltroni, prosciugando le forze minori, ma senza riuscire a far vincere il PD. Nel 2022 ci ha provato Letta con risultati ancora peggiori. Ormai quelli che si sentono costretti a votare il meno peggio sono scomparsi, semmai gonfiano l’astensione.
I meccanismi istituzionali ed elettorali sono cruciali per costruire il corpo dei decisori (nella nostra Repubblica il parlamento) perché le sue scelte riguardano la vita di tutti noi.
Dalla pace al lavoro, dai diritti all’ambiente, ecc.: le scelte politiche dipendono dalla composizione del Parlamento, dalla maggioranza che si forma, quindi è stato un grave errore non occuparsi per tempo della legge elettorale, di modifiche mirate alla Costituzione per correggere errori, come l’autonomia regionale differenziata che minaccia l’unità nazionale.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale aveva sperato che l’arrivo di Letta alla segretaria del Pd portasse novità. Malgrado incontri, suggerimenti, proposte abbiamo constatato la non volontà o l’impossibilità di portare i gruppi parlamentari del Pd ad affrontare seriamente l’urgenza di una nuova legge elettorale proporzionale, in grado di dare agli elettori la scelta su chi eleggere in Parlamento.
Eppure la crisi dei governi Conte 1 e Conte 2 aveva chiarito che c’era il rischio di elezioni anticipate e che la crisi del governo Draghi avrebbe portato diritto al voto anticipato, come è avvenuto.
Pane, pace e ambiente
I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La destra ha vinto anzitutto per la rinuncia a mettere in campo un’alternativa credibile, unitaria, o per lo meno a utilizzare la pessima legge elettorale vigente nel modo migliore, come invece ha fatto la destra.
La destra ha galvanizzato i suoi elettori, avanzando poco in cifra assoluta sul 2018. Mentre la possibile alternativa alle destre si è divisa ed è stata battuta malamente e l’astensione dal voto è cresciuta di quasi il 10%, portando la percentuale del non voto al record del 37 %.
Ora è indispensabile che il Pd faccia quanto non ha fatto dopo le dimissioni di Renzi dal governo, poi dal partito. Era sbagliato dire che il Pd era guarito dal renzismo, senza farci i conti non si esce dai giochi opportunistici e di potere. Cos’è il renzismo? Una deriva opportunistica, di potere ad ogni costo, di rinuncia a rappresentare il tradizionale elettorato sociale della sinistra (Jobs Act insegna). Certo, il lavoro non è l’unico referente sociale ma dovrebbe essere quello naturale e con esso la parte di società che oggi non ha potere, è condannata dentro una bolla di subalternità e di drastico peggioramento delle sue condizioni di vita.
Draghi non poteva essere la soluzione. Tanto più che le sinistre nella maggioranza di governo non sono state in grado di rappresentare i problemi della parte che dovrebbe rappresentare per il vecchio principio che le classi dominate debbono aspirare a diventare dominanti. È curioso che alcuni dei temi decisivi che riguardano il lavoro e le aree sociali più deboli, i giovani siano stati posti dal Pd che era al governo da anni nel momento in cui è avvenuta la crisi del governo Draghi.
Ridursi al ruolo di guardia svizzera di Draghi non ha pagato.
È risultata evidente una contraddizione: se una maggioranza di destra costituisce una minaccia per la democrazia e la Costituzione, si doveva puntare all’alleanza più larga possibile per bloccarne la vittoria. Altrimenti gridare al lupo al lupo è inutile e controproducente. Peggio ancora, se a questo si accompagna la polarizzazione Letta-Meloni, perché una scelta contraddice l’altra e il dualismo legittima l’avversario.
Si è insistito nel considerare la crisi del governo Draghi uno spartiacque e la responsabilità è stata attribuita a Conte, ma in realtà Draghi, come ha ricordato Cassese, non ha accettato un confronto sui 9 punti che avrebbe potuto risolvere il contenzioso con i 5 Stelle.
È evidente che solo includendo il più possibile e dandogli una solida base costituzionale si poteva dare il senso di una coalizione alternativa, ma questa scelta – pur proposta con insistenza da varie parti – non è stata accolta. La Costituzione avrebbe motivato una scelta di larga alleanza.
La scelta di rinunciare ad una alleanza larga, almeno nell’uninominale, è stata un grave errore che ha lasciato la destra, pur piena di contraddizioni, sola in campo a delineare una maggioranza per governare egemonizzata da Fratelli d’Italia, che era fuori dal governo Draghi.
La frittata è servita. Non ci si riprenderà da questo esito senza tornare ai fondamenti, alle ragioni su cui rifondare la sinistra. Ci vuole tempo per un discorso più completo. Iniziamo da tre problemi.
L’alternativa tra pace e guerra, la crisi del clima ed energetica, la Costituzione. La sinistra deve iniziare da qui. Alla pace non c’è alternativa. Se non vogliamo che le persone vivano nel terrore dell’olocausto nucleare occorre fermare l’escalation della guerra in Ucraina e la rincorsa agli armamenti, nucleare compreso.
L’aggressione russa all’Ucraina è purtroppo la realtà, ma non giustifica che le proposte di tregua, di avvio di trattative di pace, di convocazione di una conferenza internazionale di pace vengano ignorate e si insista in una guerra senza neppure definirne gli obiettivi. Le sedi internazionali vanno rivitalizzate, i Paesi e le personalità che possono dare un contributo attivati, a partire dal Papa, in modo da avviare i confronti. Se la soluzione fosse semplice non ci sarebbe bisogno di parlarne.
L’Ucraina sta cercando di dimostrare che la sua guerra è nell’interesse di tutti, di fare coincidere il suo punto di vista con quello della Nato e dei paesi europei, ma è solo un sillogismo, perché non è così. L’Ucraina ha diritto a difendersi, va aiutata, ma deve comprendere che lei stessa ha interesse ad una soluzione pacifica, che la guerra senza fine può portare solo guai peggiori. Soprattutto le sue decisioni non possono essere automaticamente impegnative per tutti e quindi non può decidere scelte che possono precipitare il mondo nell’olocausto nucleare.
Affermare che deve decidere l’Ucraina sulle condizioni per la pace è una sciocchezza. La pace mondiale e evitare l’olocausto nucleare sono materie che non sono nella disponibilità di nessuno, neppure dell’Ucraina, per quante valide ragioni possa vantare. La trattativa e la pace sono obiettivi da cui nessuno può derogare. Questo capitolo deve essere scritto ora prima che sia troppo tardi.
Disarmo e dintorni
Del resto basta guardare a quanto è accaduto nella ricerca di alternative al gas russo, i nuovi fornitori non sono tutti campioni di democrazia, che non può essere uno riferimento a corrente alternata. In alcuni casi può giustificare invasioni, in altri viene dimenticata come nel caso del Saudita Bin Salman, pressochè perdonato per il crimine Kasoggi. Si potrebbe ricordare anche il caso Regeni.
Coesistenza dei regimi politici, incoraggiamento pacifico della democrazia, accordi di pace e di disarmo tra diversi sono gli obiettivi fondamentali per evitare la corsa verso l’abisso nucleare di cui i principali protagonisti (Usa e Russia) parlano con troppa leggerezza. Cina e India, Sud Africa e Brasile sono solo alcuni dei paesi che possono svolgere un ruolo internazionale attivo.
Riprendere l’obiettivo del disarmo, a partire dalle armi nucleari è la priorità. In questo l’Europa deve cambiare completamente ruolo, se l’Ue è una parte della Nato non c’è bisogno di un esercito europeo, altrimenti occorre valorizzarne il ruolo autonomo dalla Nato, la cui proiezione fuori dall’Europa è ormai troppo sbilanciata, preoccupante. La coalizione a sostegno dell’Ucraina voluta dagli Usa non segue né i confini, né il ruolo della Nato e mescola cose diverse. L’Unione europea deve riprendere una sua autonoma iniziativa.
Cambiamento climatico ed energia si intrecciano con la questione pace. La guerra ha guastato il clima di cooperazione internazionale sul clima che ancora un anno fa sembrava possibile e le scelte energetiche che ne sono una parte fondamentale ne sono la conferma.
Certo la guerra impone di trovare nell’immediato soluzioni per quanto riguarda il gas e le altre energie fossili che non possono essere abbandonate immediatamente, ma la transizione dovrebbe essere la più rapida possibile, con una scelta di fondo verso le rinnovabili. Manca invece in modo preoccupante un piano, un impegno straordinario per puntare sulle energie rinnovabili, a tappe forzate. Il limite evidente del governo Draghi è che non ha impostato una strategia per realizzare a tappe forzate la svolta energetica, con tutte le conseguenze. Bene che Enel abbia investito nella produzione di pannelli FTV innovativi ma non è ancora un piano per produrre quanto è necessario al nostro paese. Bene che si sviluppino sistemi di accumulo ma ancora non è chiaro se la notizia di una nuova tecnologia italiana che renderebbe il nostro paese indipendente ed autonomo, senza ricorso alle risorse oggi note, sia effettivamente all’altezza delle promesse. Il Governo non ha parlato in proposito, non ha presentato un piano. Per costruire un piano occorre fare una proposta di insieme, dalle materie prime come l’acciaio per produrre le pale eoliche fino alla loro installazione in mare aperto e nelle zone ancora possibili, con tempi brevi anche di allaccio e tecnologie avanzate. Tutti i settori delle rinnovabili debbono essere coinvolti, programmati, realizzati in tempi record. Cingolani non lo ha fatto.
Senza trascurare l’idrogeno, da produrre con energia verde, che costituisce una valida alternativa al diesel e al gas.
In definitiva si tratta di definire un progetto di futuro da realizzare, con una particolare attenzione al controllo severo sui prezzi che si muovono sempre di fronte a nuovi investimenti, ormai dovremmo averlo capito.
Pace, clima, Costituzione dovrebbero essere i punti iniziali per costruire la coalizione delle sinistre che vogliono cambiare a fondo questo paese, creare prospettive per i giovani e occupazione nuova di qualità, gettando le basi per una nuova socialità.
La società può essere il terreno su cui costruire le novità. La crisi dei referenti politici rende difficile immaginare che nuove convergenze siano possibili tra gruppi dirigenti spesso autoreferenziali e incapaci di individuare terreni di lotta percorribili, almeno per una fase. Nella società quindi, dove un popolo di sinistra esiste, si possono costruire le piattaforme, le mobilitazioni, le convergenze che possono bloccare derive di destra e costituire il propellente per rimettere in moto un processo positivo a sinistra e i riferimenti sono in larga misura nella Costituzione, che troppe volte è stata accantonata, mentre tuttora può essere un valido riferimento a partire dall’articolo 1 e 3.
È già accaduto dopo il 2008, dopo una strepitosa vittoria delle destre le battaglie referendarie per l’acqua pubblica, contro il nucleare (lo stesso che si vorrebbe propinare oggi) per la giustizia hanno creato le premesse per la crisi del governo Berlusconi, dimostrando che non basta una maggioranza ampia per impedire ai cittadini di farsi sentire.
La società civile e l’associazionismo possono svolgere un ruolo importante per rimettere in moto la situazione e smuovere una sinistra bloccata.