Salvataggio in mare previsto solo per i tunisini
Vediamo di che cosa si tratta. I morti nel mare tunisino potrebbero sembrare l’ennesimo, orribile bilancio di naufragi non diversi dai tanti che si susseguono nelle acque tra l’Africa settentrionale e l’Italia, ma stavolta c’è il sospetto che sotto ci sia dell’altro: le due imbarcazioni sulle quali si trovavano i profughi, una al largo di Biserta nel nord del paese e l’altra vicino all’isola di Kerkennah sulla rotta frequentatissima che parte dal porto di Sfax verso l’Italia, non sarebbero state soccorse, nonostante le segnalazioni, perché a bordo non c’erano migranti tunisini, ma solo uomini, donne e bambini provenienti da paesi dell’Africa subsahariana.
Il sospetto, molto fondato, si basa sul fatto che uno dei punti del Memorandum of Understanding (MOU) firmato il 16 luglio scorso da Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e l’ex premier olandese Mark Rutte con il presidente-dittatore Kaïs Saïed, prevede che il salvataggio in mare da parte dei mezzi di soccorso del paese nordafricano sia previsto soltanto per i cittadini tunisini. Alle imbarcazioni che trasportano “stranieri” le motovedette della Guardia Costiera, graziosamente regalate dall’Italia, cercano “semplicemente” di impedire che proseguano il loro viaggio verso l’Europa. E per farlo i militari tunisini impiegano ogni mezzo, dai colpi di mitraglia ai gas lacrimogeni all’abbordaggio. Secondo testimonianze raccolte dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione una tattica molto usata è quella di aumentare la velocità delle motovedette in modo da provocare onde molto alte e il conseguente rovesciamento delle fragili barche (spesso piccoli scafi in lamiera) su cui si trovano i migranti.
Le denunce su quanto avviene in mare si aggiungono a quelle, durissime, sui comportamenti criminali che le autorità tunisine praticano nel sud del paese, ai confini con la Libia e l’Algeria. Qui, sempre in ottemperanza agli impegni presi con il MOU, oltre a bloccare con la violenza gli ingressi illegali di profughi subsahariani, i militari di Saïed procedono all’espulsione degli stranieri entrati clandestinamente nel paese, arrestati e richiusi nei centri di detenzione nelle regioni in cui si trovano i porti di partenza. Il procedimento di espulsione è tremendamente semplice: i migranti vengono fatti scendere dai mezzi militari che li hanno portati e sono costretti, a bastonate o a colpi di fucile, a riattraversare la frontiera in mezzo al deserto. Senza cibo né acqua, sono destinati alla morte certa.
Ovviamente queste procedure non sono indicate nel Memorandum, ma è altrettanto ovvio che né a Bruxelles né a Roma è credibile che non se ne abbia contezza. Oltretutto, il clima di violenze e repressione instaurato nel paese da Saïed è sotto gli occhi di tutti. A Tunisi e nelle altre città il regime aizza i sentimenti xenofobi e razzisti della popolazione – il dittatore parla di un imminente pericolo di “sostituzione etnica” degli arabi da parte dei neri – e in una disperata logica di lotta tra gli ultimi si sono già verificati diversi tentativi di pogrom.
L’accordo non sottoposto al servizio giuridico del Consiglio europeo
Sono anche queste preoccupanti circostanze che hanno mosso le critiche molto dure al MOU e al modo in cui è stato sottoscritto. Le prime reazioni sono venute, già poche ore dopo la sottoscrizione dell’accordo, dal Servizio giuridico del Consiglio europeo, nel quale sono rappresentati tutti i paesi dell’Unione, che ha giudicato come una “gravissima mancanza di rispetto” il fatto che la presidenza della Commissione abbia agito senza consultare il Servizio stesso, come avrebbe dovuto obbligatoriamente fare secondo i Trattati e come non ha fatto, evidentemente, nella consapevolezza che il Memorandum sarebbe stato giudicato come contrario ai princìpi europei di rispetto dei più elementari diritti umani.
Reazioni ancora più dure sono venute da diverse cancellerie europee. Il ministero degli Esteri tedesco ha giudicato illecito il procedimento che ha portato al MOU in quanto ha by-passato i poteri del Consiglio europeo, il quale avrebbe dovuto discuterne e votare la sua eventuale stipula. Fonti confidenziali hanno raccontato al settimanale “Die Zeit” di un pesante diverbio avvenuto il 19 luglio nel gruppo di lavoro del Consiglio sul Maghreb, durante il quale l’operato di Meloni, von der Leyen e Rutte è stato giudicato come “assolutamente inaccettabile”. Ben dodici stati membri, tra i quali la Francia, l’Austria, il Belgio e la Grecia, hanno segnalato ufficialmente “irritazione” per il modus operandi del terzetto in missione a Tunisi.
Di tutto questo in Italia non si è saputo alcunché, anzi la presidente del Consiglio e i suoi fidi ministri degli Esteri Tajani e dell’Interno Piantedosi si sono profusi in autocompiacimenti per la soluzione “europea” che sarebbe stata trovata sulla gestione del dossier immigrazione insieme con Tunisi. Di più: secondo Meloni l’accordo con il dittatore Saïed dovrebbe servire da paradigma per intese simili con i governi di tutti i paesi del Nord Africa: i migranti gestiteli voi e non ci interessa se li fate affogare o li prendete a fucilate noi paghiamo per il disturbo. Quello che preoccupa e indigna molti a Bruxelles è che a questa “soluzione Meloni” si sia associata anche la presidente in carica della Commissione europea.