La sconfitta del 25 settembre non è una fatalità. Le destre arrivano al 44 per cento dei voti, ma i parlamentari ottenuti sono il 59 per cento, è il risultato della moltiplicazione maggioritaria della legge elettorale.

Dopo lo scioglimento del parlamento, appelli e iniziative chiarirono che l’unico modo per non regalare una vittoria alle destre era un accordo nei collegi uninominali maggioritari. Inutilmente. Così siamo arrivati al cappotto delle destre nei seggi uninominali della Camera e del Senato.

La legge elettorale Rosatellum premia le coalizioni, vere o finte, basta dichiararsi tali. Le destre hanno presentato una coalizione e hanno fatto man bassa nei collegi uninominali, le “non destre” si sono presentate divise e hanno perso.

Se le destre erano un pericolo, la Costituzione il loro obiettivo e in gioco c’era la collocazione europea dell’Italia era un dovere per tutti trovare un’intesa almeno nell’uninominale che non avrebbe sottratto o aggiunto nulla alle liste nel proporzionale.

La crisi di Draghi non poteva essere un ostacolo insormontabile visto che la sua maggioranza comprendeva la destra.

Ora il disastro è avvenuto e le responsabilità sono evidenti. E’ inevitabile che si pensi a cambiare i dirigenti, ma questo non è il vero problema.

Tutti i disegni politici sono falliti, chi più chi meno. E’ fallita la vocazione maggioritaria e la strumentalizzazione del voto utile del Pd, Il Movimento 5 Stelle ha avuto una buona affermazione, che però è il 40 per cento del 2018 rendendo difficile opporsi da soli, a partire dai punti che gli hanno riportato voti.

Il Terzo polo è già diventato quarto e rischia di ridursi a una posizione che dialoga con le destre prima che venga chiesto, Matteo Renzi ha dato disponibilità prima ancora di sapere come Meloni vorrà modificare la Costituzione.

Sinistra Italiana e Verdi hanno salvato la loro presenza parlamentare ma debbono decidere se e come spendere questo piccolo patrimonio. Le altre, disperse componenti delle sinistre non hanno avuto un risultato elettorale significativo e debbono decidere se hanno ancora qualcosa da dire e come.

Ora le destre rischiano di avere di fronte un campo libero, anziché largo, con un’opposizione litigiosa e incapace di risultati.

O le “non destre” trovano il coraggio di rimettere in fila le priorità, mettendo l’accento sulla pace e sul blocco del riarmo, sull’accelerazione della transizione energetica, scegliendo rinnovabili, idrogeno e investimenti ambientali, sulla difesa dei principi e l’attuazione della Costituzione, sul sostegno al lavoro a tempo indeterminato, con diritti (ripristinando lo statuto), meglio pagato, insieme al salario minimo per legge, sulla lotta alle disuguaglianze con risorse e interventi contro la povertà, ormai a livelli insopportabili, partendo da un no corale all’attacco al reddito di cittadinanza. Dislocare le risorse verso queste priorità anche correggendo punti del Pnrr.

Il Pd deve decidere se vuole ritrovare le radici di sinistra, il M5s non deve sottrarsi alle responsabilità, tutte le altre componenti debbono capire che è il momento di costruire una alternativa alla destra ma per farlo occorre coinvolgere le persone, organizzare movimenti e lotte, preparare energie nuove e queste energie sono nella società ma non si riconoscono nella attuale rappresentanza politica, come dimostrano i 10 punti in più di astensione del 25 settembre.
O si correggono gli errori e si mette in campo un disegno di futuro o le destre governeranno al di là dei contrasti interni.