Non c’è due senza tre. Possiamo ben dirlo per il ministro Calderoli. La prima volta fu il Porcellum, la cui paternità (e definizione, da lui data in una trasmissione televisiva) gli è riconosciuta. La seconda è l’autonomia differenziata (AD), per cui la paternità è certificata dalla sua firma solitaria sull’AS 615, atto parlamentare di inizio della vicenda. La terza è il referendum abrogativo, di cui suggerisce la riforma in una intervista (Sole 24 Ore, 9 agosto).
Calderoli ci dice che la piattaforma pubblica per il voto online ha reso troppo facili le richieste di referendum e l’iniziativa popolare delle leggi. È addirittura a rischio la funzionalità del Parlamento, e bisogna aumentare le firme. Non siamo d’accordo. Certo il ministro prima o poi ci ricorderà che proposte simili sono venute in passato anche da sinistra. Vero. Ma in anni in cui esistevano ancora organizzazioni di massa radicate e funzionanti e un Parlamento ampiamente rappresentativo. Ora, con partiti evanescenti e assemblee dimidiate nella rappresentatività dal taglio dei componenti e da una pessima legge elettorale, un correttivo che viene dal popolo può avere ben altro – e utile – peso. Ancor più considerando che la riforma del premierato vuole cittadini che contano – forse – solo un giorno ogni cinque anni, per poi tacere. Calderoli conferma l’essenza del pensiero riformatore della destra. Nessuno disturbi il manovratore: non il Parlamento, e nemmeno il popolo sovrano. Un contesto in cui l’AD è elemento catalizzatore di una perversa sinergia. Evidentemente, il ministro accusa il colpo del mezzo milione di firme online che in un paio di settimane, sconfiggendo il “generale agosto”, ha sepolto gli sberleffi da destra inizialmente riversati sull’iniziativa referendaria. Si aggiungono i banchetti. Altro che “accozzaglia” e “ammucchiata”. Un esercito si è mosso sorprendendo i suoi stessi comandanti. Da iniziativa di ceto politico il referendum si è trasformato in un evento popolare di massa. Che probabilmente ha già indotto alcuni “governatori”, forse dubbiosi, a decidersi sul ricorso alla Consulta per affermare che la lettura data da Calderoli & C. all’art. 116.3 è incostituzionale. Come inciderà tutto questo sul percorso, improvvisamente accidentato, dell’AD?
Il ministro si rifugia nella “smaccata inammissibilità” del quesito referendario. Ne parleremo. Ci informa che, autorizzato da Meloni, avvierà subito il negoziato con Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria, sulle nove materie non-Lep. In altre i Lep sono in definizione, alcuni entro la fine dell’anno. Le risorse eventualmente necessarie si troveranno attraverso una spending review regionale. Si coglie che l’intento di Calderoli è portare per l’approvazione in Consiglio dei ministri gli “schemi di intesa preliminare” previsti dalla sua legge in tempi brevi, certamente molto prima del voto referendario. Il dopo ha cadenze cogenti che la stessa legge scandisce. Dunque, nei prossimi mesi il tema sarà costruire nella politica e nell’opinione pubblica il contesto in cui si giungerà al giudizio sull’ammissibilità e al possibile voto successivo, mentre saranno in Corte anche i ricorsi delle Regioni.
Due le cose da fare. La prima. Continuare fino all’ultimo giorno utile la raccolta delle firme, perché il numero totale e la distribuzione territoriale definiranno il messaggio al Paese, mentre la raccolta in sé, soprattutto ai banchetti, contribuirà ad accrescere la consapevolezza del tema e della importanza per la vita di ognuno. La seconda. Le opposizioni in Parlamento incalzino Calderoli e il governo con una attenta e continua vigilanza su quel che accade nell’attuazione prefigurata dal ministro. Ci informa che si tratta di trasferire non materie, ma singole funzioni statali. Bene. Chi chiede cosa a chi, e perché? Sulla base di quali dati e valutazioni? E chi risponde cosa a chi, e perché? Già sappiamo che Tajani oppone un no sul commercio estero. E gli altri? Calderoli ci dice che la spending review regionale finalizzata ai Lep ha “margini enormi”. Bene. A quali Regioni si riferisce? Come individua e quantifica gli sprechi? Con quali criteri, che non siano i colori politici degli amministratori? Cronache giudiziarie, relazioni della Corte dei conti? E come pensa di ottenerne l’eliminazione? Sollecitando rivolte popolari dal basso?
Essenziale è la piena informazione. Non si ripeta quanto accadde con la ministra leghista Stefani, che secretò di fatto la trattativa con le Regioni, produsse bozze di intesa mai pubbliche e note solo per l’opera di qualche gola profonda, tuttavia quasi giunte all’approvazione in Consiglio dei ministri. Il Parlamento si definisce come organo di teatro, perché le aule sono il luogo in cui si rappresentano gli interessi del Paese. Evitiamo che diventi teatrino.