Il voto a la Sinistra non è solo utile, ma necessario

di Alfonso Gianni - Jobsnews - 18/05/2019
Alfonso Gianni spiega le ragioni per cui il voto a la Sinistra non è solo utile, ma necessario tanto in Europa, quanto in Italia

Quando ci siamo messi al lavoro per costruire la lista la Sinistra, che sarà presente nelle elezioni europee del 26 maggio, ci siamo posti un semplice obbiettivo. Quello di offrire alle elettrici e agli elettori la possibilità di operare nell’urna una scelta di sinistra che si contrapponesse tanto alla logica neoliberista cui sono ispirati i Trattati di Maastricht e le successive direttive intergovernative, quanto a quella dei vari nazionalismi e sovranismi che si sono manifestati con sempre maggiore intensità negli ultimi tempi nel continente europeo. Si trattava e si tratta di rafforzare un terzo spazio politico che rifiutando di ridurre la contesa a solo quei due corni ribadisca e rafforzi l’esistenza di un europeismo di sinistra che punta a un’Europa solidale, democratica e federale.

Una scelta che affonda le sue radici nel celebre Manifesto di Ventotene, dell’agosto del 1941, scritto dai confinati Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann. Uno scritto davvero lungimirante che ha anche influenzato il dibattito nell’Assemblea Costituente che partorì la nostra Costituzione, che negli ultimi tempi ci troviamo a difendere da diversi tentativi di stravolgimento.

Quel documento non partiva solo dalla necessità di impedire il ripetersi degli orrori di una guerra, allora in pieno svolgimento; la seconda che partiva dal Vecchio Continente per coinvolgere il mondo intero. Ma anche da una critica radicale al capitalismo, alla proprietà privata quale principio fondante della società. Parlava quindi della necessità di “una rivoluzione europea” che “dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita”. Gli estensori del Manifesto non si facevano illusioni, sapevano bene che il cammino in quella direzione sarebbe stato lungo e arduo, quindi conclusero il loro scritto con le seguenti determinate parole: “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”.

Purtroppo le cose non sono andate così. Per ragioni che derivano dagli assetti mondiali del dopoguerra e dalle idee dominanti soprattutto in campo occidentale, la storia dell’Unione europea ha seguito un altro corso. Si imposero le dottrine elaborate da David Mitrany e Jean Monnet, cosiddette funzionaliste, che in sostanza pensavano di costruire l’Europa passo a passo muovendo dall’integrazione economica per arrivare a quella politica. Solo che l’economia ha preso il sopravvento sulla politica, o meglio l’ha modellata a proprio uso e consumo. E questo è avvenuto in parallelo con la finanziarizzazione e la globalizzazione del sistema capitalistico.

La conseguenza è che l’Europa politica esiste, contrariamente a quelli che sostengono che c’è bisogno di più Europa (dal Pd alla Bonino per intenderci), ma è una costruzione a-democratica fondata sulla legge del mercato e della competitività stabilite negli articoli del Trattato di Maastricht e ancora più nelle intese successive come il micidiale Fiscal Compact. Ne è uscita un’Europa che non ci piace, dominata dall’asse franco-tedesco - irrobustito dal recente Trattato di Aquisgrana - che ha aggravato la crisi economica attraverso l’austerità, costringendo i paesi in difficoltà con il debito a politiche di “lacrime e sangue” come è accaduto con la Grecia e non solo con essa.

Questa Europa così com’è non ha futuro. E’ destinata a implodere, così come la sua moneta, l’euro, perché le politiche di austerità aumentano a dismisura le diseguaglianze sia fra i paesi che al loro interno e ad alimentare disegni di divisione tra un cuore centrale dell’Europa, l’asse franco tedesco appunto, e la corona dei paesi mediterranei e periferici asserviti al primo. Oppure rischia di disgregarsi se dovessero aumentare le spinte nazionaliste e di ritorno alla logica delle piccole patrie. Un arretramento micidiale proprio per le classi lavoratrici e i ceti più deboli, indifesi dalle manovre speculative che immediatamente prenderebbero corpo. Nello stesso tempo i mercati finanziari internazionali avrebbero più facile gioco nel sottomettere alle loro volontà Stati di minore consistenza.

Per questo bisogna cambiare radicalmente questa Europa. Non esiste costruzione giuridica umana che non possa essere modificata. Certo le regole di Maastricht sono molto stringenti. Ma se si sviluppano nel continente movimenti che vogliono un radicale cambiamento, come sta già accadendo ora, in particolare con i movimenti femministi e per l’ambiente; se forze di sinistra riusciranno a costruire non solo forti opposizioni nei loro paesi, ma anche a raggiungere posizioni di governo, come in Grecia, in Portogallo e come ci auguriamo succederà in Spagna, allora si possono cambiare i rapporti di forza, cancellare il Fiscal Compact, riscrivere i Trattati, modificare il ruolo della Bce, avviare contemporaneamente una campagna costituente per giungere ad una vera Costituzione democratica condivisa dai popoli che fornisca all’Europa un assetto federale, aperto al Mediterraneo e ai processi migratori, che nessuno può fermare, né con gli annegamenti né con i muri o i chilometri di filo spinato.

Non è cosa di un momento e neppure di una solo passaggio elettorale. Ma basta guardare le forze presenti nell’attuale Parlamento per riconoscere una simile coerenza nel gruppo Gue/Ngl, la quinta forza per consistenza nel Parlamento europeo, che nella passata legislatura si è opposto a tutte le misure neoliberiste e di sfruttamento e inquinamento del pianeta, raggiungendo anche risultati concreti. Si tratta di rafforzare quel gruppo con la presenza italiana. Già è successo con l’Altra Europa con Tsipras, cinque anni fa. Le forze che compongono la Sinistra si basano anche su quella esperienza.

Anche allora c’era chi poneva la famigerata questione del “voto utile” e, privo di grandi argomenti, torna a farlo oggi. A ben vedere è un’assurdità in sé, per la semplice ragione che il Parlamento europeo non vota la fiducia a un governo, quindi in esso è decisivo il tema della rappresentanza non quello della cosiddetta governabilità. Votare Pd significherebbe aggiungere il proprio voto a quello schieramento fatto dal Pse (socialisti & democratici) che insieme ai popolari hanno avuto la responsabilità diretta delle politiche neoliberiste praticate in questi anni.

Non solo, ma oggi vorrebbe dire portare acqua al mulino di chi predica un’alleanza che vada da Macron a Tsipras, il che significherebbe cercare di mettere assieme gli oppressi con gli oppressori. Un mostruoso connubio. Non è in questo modo che si sconfigge la falange populista delle destre. Questa ha per ora abbandonato i disegni di una uscita dall’Europa. Cerca invece di conquistarne la direzione politica o quantomeno di spostare a destra l’asse degli equilibri. Ma proprio per questo c’è bisogno di una sinistra che sia tale, che raccolga l’eredità del movimento operaio e democratico europeo e le istanze che vengono dai nuovi movimenti, che non sia complice delle politiche neoliberiste contro cui si è sviluppata la rabbia popolare.

Vi poi chi ragiona in termini puramente nazionali, cadendo nel tranello di Salvini e dei 5 Stelle, come se la scadenza elettorale europea fosse una specie di referendum tra loro due. Certamente la vicenda italiana è strettamente legata a quella europea, si pensi solo al tema della legge di bilancio, ma proprio per questo pensare di votare per il Pd o per i 5stelle credendo con ciò di fermare Salvini è profondamente sbagliato. Sono state le politiche dei passati governi di centrosinistra - si pensi a Renzi, al suo attacco alla Costituzione, respinto dal voto referendario - che hanno spianato la strada al populismo di destra che ha speculato sul disagio popolare. E’ stata proprio l’idea, tipica dei 5stelle, dei Grillo e dei Casaleggio, che non esiste più né destra né sinistra, ad avere permesso a Salvini di diventare il dominus del governo e alla sua Lega di essere il primo partito nel paese. Per sconfiggerlo c’è bisogno di una forte opposizione, dando fiato e volto a quella che già si sta manifestando in tanti modi e punti del paese e che fa sperare in una sua rinascita democratica.

Per tutte queste ragioni il voto a la Sinistra non è utile, ma necessario tanto in Europa, quanto in Italia. A maggior ragione dal momento che  un simile voto non esaurisce la sua funzione nell’urna del 26 maggio, ma pone le condizioni per un percorso concreto di ricostruzione della sinistra.

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