La “presidenza imperiale” e la via stretta di Meloni

di Massimo Villone - Ilfattoquotidiano.it - 06/06/2025
Se Meloni è insuperabilmente allergica alla scheda, ci risparmi lo show, e vada al mare.

Il ddl Sicurezza passa con la fiducia in Senato in una seduta tumultuosa, dopo un percorso costellato di forzature. Meloni incontra Macron, ma non riduce le distanze tra Italia e Francia. La rissa tra partner di governo continua. La via della pace rimane impervia e assai pericolosa.
Come se non bastasse, Trump aumenta i dazi su alluminio e acciaio dal 25% al 50%. È un altro colpo al rapporto speciale che Meloni rappresenta di avere con Trump. Abbiamo letto anche su queste pagine dell’annullamento, poi temporaneamente sospeso in appello, da parte della Corte per il commercio Usa dei dazi “reciproci’’ imposti dal presidente. Si finirà in Corte Suprema. Ma intanto si profila sui dazi uno scontro tra Usa e Ue in cui Meloni dovrà scegliere.

La forma di governo Usa, pur senza revisioni formali, è cambiata nel tempo. Nel 1885 un allora giovane accademico emergente – Woodrow Wilson – pubblicava un futuro classico del costituzionalismo americano: Congressional Government. La tesi di fondo era un peso preponderante ed eccessivo del Congresso, in danno del presidente. Nel 1960 un altro classico (Neustadt, Presidential Power and the Modern Presidents: The Politics of Leadership) vedeva il presidente come elemento di una architettura complessa, titolare di un “power to persuade” prima di un potere esecutivo nella sostanza fortemente limitato. Da ultimo, leggiamo sulla Harvard Law Review (aprile 2025, Roisman) di Trump in the Era of Exclusive Powers. Si descrive un presidente pienamente titolare di tutto il potere esecutivo e in specie dell’applicazione delle leggi federali. Su questa teoria poggiano gli ordini esecutivi di Trump, fin qui contestati in circa 260 giudizi.

Il Congresso potrebbe porre limiti legislativi, ma è sotto il pieno controllo del presidente. Mentre la maggioranza conservatrice della Corte Suprema segue una interpretazione storica e formalistica della Costituzione (per gli studiosi Usa, Originalism), attenta al dato testuale e all’intento del costituente del XVIII secolo. Ne viene un ampio spazio per l’esclusività del potere esecutivo in capo al presidente, e una contemporanea riduzione di quello riconosciuto ai diritti costituzionalmente protetti. Tra i casi più noti l’avallo (2018) al cd. Muslim Ban del primo Trump, che impediva l’ingresso negli Usa da paesi ritenuti inaffidabili. E Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization (2022), che ha cancellato il diritto della donna di decidere sulla gravidanza riconosciuto in Roe v. Wade (1973).

Sui dazi verranno alla Corte Suprema due domande. Può il presidente imporre dazi a uno, a molti, o a tutti i paesi del mondo? Può farlo invocando un’emergenza nazionale sulla base di generiche formule legislative? È improbabile che l’odierna Corte – già a favore di Trump in altri contesti – chiuda la porta. Siamo vicini a una presidenza imperiale, almeno fino alle elezioni di midterm del 2026.

Ed ecco il problema. Nella competizione geopolitica globale con la Cina, gli Usa ritengono essenziale investire sull’Intelligenza artificiale senza ostacolarne in alcun modo lo sviluppo. Si leggano in specie le proposte di OpenAI (ChatGpt) all’Amministrazione del 23 marzo 2025, o si ascolti l’audizione dell’8 maggio 2025 dei big del settore nel Senato Usa (disponibili in Rete). Il recente Tax Bill di Trump vieta per dieci anni a Stati ed enti locali di regolamentare l’Intelligenza artificiale. Vedremo se resisterà in Senato. Intanto gli Usa premono perché l’Ue si affianchi, abbandonando sia la regolazione dell’IA eccessiva e dannosa fin qui praticata, sia l’ipotesi di tassare i giganti del web – Google, Amazon, Microsoft – per i servizi digitali resi in Europa. Nella faticosa trattativa in atto si profila un duro scontro, non limitato al conto di dollari e centesimi.

Che farà Meloni? Le sarebbe utile leggere sul Financial Times (5 giugno) come e perché il mondo MAGA odia l’Europa. Invece, con il trumpismo ha un’affinità elettiva e vorrebbe importarlo. Ne danno prova tra l’altro il ddl Sicurezza, lo scontro con i magistrati, le riforme su giustizia, premierato, legge elettorale. Il voto popolare è l’antibiotico necessario. Qui incrociamo i referendum dell’8 e 9 giugno. E capiamo la contorsione meloniana “vado al seggio ma non voto’’.

Citiamo la circolare 33/2025 dell’Interno, che richiama al punto 10 l’art. 9.2 della legge 212/1956: “Nei giorni della votazione, è vietata ogni forma di propaganda entro il raggio di metri 200 dall’ingresso delle sezioni elettorali’’. Un uomo sandwich recante la scritta “io non voto’’ ricadrebbe nel divieto. No all’uomo sandwich fuori del seggio, sì allo spot Meloni sul non voto all’interno del seggio? Con il seguito di radio e tv? Se Meloni è insuperabilmente allergica alla scheda, ci risparmi lo show, e vada al mare.

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