In nessuna “democrazia matura” c’è stato, o c’è, un turbinio di leggi elettorali come in Italia. Ma, l’Italia è una democrazia matura? Se la maturità è il tempo della stabilità, della consapevolezza di sé, della fiducia che abbiamo in noi stessi e ispiriamo negli altri, dell’affidabilità e della serietà, c’è da dubitare. Le riforme elettorali, talora in prossimità delle elezioni, perfino imposte con il voto di fiducia di chi è momentaneamente al governo per restarci, sono segno di smarrimento della bussola o tentativi di truccare i risultati a proprio favore. Furbizie, non istituzioni.
In meno di venticinque anni, a partire dai referendum del 1991 e del 1993 contro “la proporzionale”, abbiamo avuto vari sistemi elettorali strampalati di cui ci facciamo beffe perfino nel gergo: mattarellum, porcellum, italicum (dichiarato incostituzionale prima ancora d’avere la possibilità d’essere applicato), rosatellum, salvo poi, in fine, da parte di molti che si erano dati da fare, auspicare il ritorno al punto di partenza: la proporzionale!
Il paradosso è che coloro che si sono prodigati, l’hanno sempre fatto, per l’appunto, con l’intento di farci ‘maturare’: cittadino-arbitro, scettro al principe, democrazia dell’alternanza e decidente, bipolarismo, governabilità e altre parole d’ordine piene di nobili intenzioni, guarnite dai suggerimenti tecnici degli esperti, volta a volta infatuati da questa o quella “esperienza” raccolta in giro per il mondo, dal Regno Unito a San Marino, passando per la Germania, la Francia e la Spagna, oppure compiaciuti per avere escogitato qualcosa di propriamente italiano che tutta Europa ci avrebbe invidiato.
E ora, attendendo il 25 settembre, tratteniamo il respiro: non perché tutti gli esperti di umori elettorali prevedono la vittoria di una parte che può piacere più, meno o nulla. Questi sono giudizi politici. Ma perché si prospetta l’eventualità che una coalizione elettorale, stimata intorno al 45 per cento dei votanti, in presenza di un altro 45 per cento di astenuti - dunque una esigua minoranza del totale - ottenga in parlamento un numero di seggi abnorme che le permetterebbe di fare qualsiasi cosa, anche di cambiare da sola, volendo, la Costituzione.
La legge elettorale vigente (a differenza di quelle precedenti) non parla di “premi di maggioranza”; tuttavia consente una tale distorsione della rappresentanza da fare impallidire le leggi precedenti che li prevedevano. Questa legge non è piovuta dal cielo ma è stata imposta addirittura con voti di fiducia, ed è comprensibile che venga ora la l’allarme da parte di chi l’ha ereditata per evitare o limitare un disastro democratico (ma è meno comprensibile se proviene da coloro che ne hanno determinato le premesse). Dicono: votate per noi se, quel guaio che si prospetta a causa della legge che noi stessi abbiamo fatto, volete evitarlo. Abbiamo stabilito che tanti seggi siano attribuiti ai candidati che prevalgono anche solo per un voto in ciascun collegio e non immaginavamo ciò che ora le previsioni mettono davanti agli occhi: che quasi tutti, così, saranno appannaggio di candidati del raggruppamento avverso. Siamo pifferi di montagna venuti per suonare e rischiamo d’essere suonati.
Non basta. La legge con la quale voteremo è conforme alla Costituzione? La Corte costituzionale si è pronunciata più volte sulla genuinità e libertà dell’esercizio del diritto di voto, caposaldo di democrazia. Ora, la legge che abbiamo è un ibrido o meglio, un mostro, un ircocervo in parte capro e in parte cervo. Mette insieme due logiche antitetiche. È maggioritaria per 1/3 e proporzionale per 2/3. Sebbene dal 1993 con diversi dosaggi sia stato così, ciò non impedisce di vedere che il mostro ha due teste che pensano l’una all’opposto dell’altra. La testa maggioritaria dice agli elettori: a chi farete prevalere sugli altri, anche per pochi voti, darò la vittoria e agli altri toccherà la sconfitta. La testa proporzionale, invece, non promette vittorie, né minaccia sconfitte, ma dice benevolmente: otterrete in seggi quanto avrete ottenuto in voti, sia pure in miniatura. Sono due concezioni politiche che hanno, ciascuna, una loro logica, ma sono logiche che si escludono, non si sommano. Non si può volere vittoria e sconfitta e, al tempo stesso, né vittorie né sconfitte ma “a ciascuno il suo”. Sono in gioco due alternativi atteggiamenti psicologici degli eletti e, prima ancora, degli elettori.
L’elettore consapevole del meccanismo duplice che è chiamato a far funzionare si trova facilmente nel dubbio: voto per “vincere” o voto per “rappresentare”? Questo elettore resta poi sbalordito quando viene a sapere che, sebbene gli si chieda di partecipare a due consultazioni, l’una per la quota maggioritaria e l’altra per quella proporzionale, gli si dà in mano un solo voto che vale per l’una e per l’altra parte. Un voto che vale due: se scegli una lista per la parte proporzionale ciò vale automaticamente per il candidato per la parte maggioritaria, e viceversa. In breve: i partiti manipolano il 50 per cento della libertà del tuo voto e lo fanno per assicurarsi i posti per i candidati che interessa a loro che siano eletti.
La sacrosanta libertà elettorale è così platealmente violata. L’elettore consapevole avverte d’essere strumentalizzato. Tanto più, poi, in quanto nella quota proporzionale si presentano “liste bloccate” e l’elettore non può fare scelte di preferenza tra i candidati. In sostanza, crede di essere libero ma, in buona parte, è un prigioniero di scelte altrui: se gli piace un certo candidato nella quota maggioritaria, il suo voto trascina la lista nella quota proporzionale, anche se non gli piace affatto; se gli piace la lista proporzionale, il suo voto trascina il candidato nella quota maggioritaria, anche se ne farebbe volentieri a meno. In più, non può far valere alcuna scelta sulla quota proporzionale perché i candidati sono predisposti in un ordine ch’egli non può modificare. I partiti già non godono di molto credito, ma possiamo pensare che un sistema elettorale come questo li avvicini ai cittadini, come dovrebbe accadere in ogni occasione in cui li si convoca al voto, e non invece li allontani?
Le leggi elettorali non dovrebbero essere fatte per i partiti e per i candidati, ma per i cittadini. In Italia, da troppi anni non è così. Dovrebbero, più di tutte le altre, essere stabili e semplici. Invece, quando ci si riesce, le si cambia in prossimità delle elezioni e si guarda ai vantaggi che si spera di trarne nell’immediato. Dovrebbero essere ispirate a un solo e chiaro principio fondamentale di giustizia elettorale nel quale l’elettore possa capirci qualcosa. Le leggi elettorali dovrebbero essere le più istituzionali tra tutte le leggi ordinarie, ed invece sono tra le più occasionali. Riprendiamo dall’inizio, dal bisogno di maturità della nostra democrazia. Gli “statisti” dimostrerebbero d’essere tali se non si facessero travolgere dagli argomenti di convenienza, e i “costituzionalisti” dimostrerebbero d’essere tali se non si facessero coinvolgere, con le loro competenze, nelle croci e nelle delizie di politici che statisti non sono.