Il comunicato del 14 novembre anticipa una pronuncia della Consulta che dichiara infondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, ma coglie molteplici motivi di illegittimità su specifiche norme. Come era prevedibile, un accoglimento parziale è l’esito dei ricorsi presentati da quattro regioni.
Nel complesso, si cancellano nell’autonomia differenziata in stile leghista gli elementi di più chiara incompatibilità con il regionalismo disegnato in Costituzione. È l’esito che avevo sperato di ottenere proponendo già nel gennaio di questo anno che alcune regioni avanzassero ricorso in via principale avverso la legge proposta da Calderoli, allora ancora in discussione. Una proposta sostenuta dal Coordinamento per la democrazia costituzionale e poi fatta propria dalla Via Maestra con una lettera inviata ai presidenti di regione.
La pronuncia incide in profondità sulla legge 86, ad esempio toccando per molteplici versi i Lep, o specificando che la devoluzione non può essere per materie o ambiti di materie, ma solo per puntuali funzioni e deve essere giustificata per la singola regione. Si nega in specie che l’art. 116.3 possa tradursi in uno shopping nel supermercato delle competenze come vorrebbero i leghisti. Questo bene si coglie anche dalle affermazioni di principio sulla corretta interpretazione dell’art. 116.3, che deve rimanere nell’ambito “dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”, e nel distribuire le funzioni deve comunque osservare il principio costituzionale di sussidiarietà.
Attendiamo ora la sentenza. Ma vanno fermate le trattative già avviate dal ministro Calderoli con quattro regioni. Insistere sarebbe una inutile fuga in avanti. Non per caso, la Corte ci ricorda la sua competenza anche per le leggi approvative di singole intese. Qui rileva che la sentenza comprende una parte di lettura “costituzionalmente orientata”, che senza giungere a una dichiarazione di incostituzionalità, comunque indica le linee costituzionalmente conformi da seguire nell’attuazione dell’art. 116.3.
Quanto al percorso referendario del quesito totalmente abrogativo, va chiarito che il comitato promotore non ha alcun potere di ritiro o di rinuncia. Se la legge fosse stata dichiarata interamente illegittima, il referendum verrebbe meno in quanto privo di oggetto. Ma non si può trarre il medesimo effetto da un accoglimento parziale, a seguito del quale la legge sopravvive. Quindi il percorso referendario prosegue, e bisogna continuare nella vigilanza e nell’impegno sul territorio. Potrebbero cadere i quesiti parziali, laddove abbiano ad oggetto norme dichiarate illegittime. Sul punto dovrà comunque pronunciarsi la Corte di cassazione.