“Greta, una generazione intera ha preso la parola senza seguire un capo”

di Ferruccio Sansa - Il Fatto Quotidiano - 29/09/2019
Marco Revelli - Il sociologo: “Questa urgenza collettiva ricorda il 1968, ma senza tutta la simbologia politica”

“La breccia nel muro è aperta. Questi ragazzi hanno osato aprire il varco. È un passaggio che porta alla responsabilità. E io guardandoli mi sono sentito felice. Non speravo di vedere ancora una scena simile nella mia vita”.

Marco Revelli, da sociologo e politologo, che cosa rende così diversa questa folla che ha riempito le nostre città?

Un’intera generazione ha preso la parola.

Senza violenza…

Sì, come nei movimenti che rappresentano scelte radicali. E gli avversari che hanno di fronte sono così radicati nel torto che non sanno come reagire. Non sono pronti a organizzare una risposta.

Qual è la forza dei ragazzi del ’19?

Essere scesi in piazza senza seguire un leader, ma semplicemente ascoltando l’appello di una coetanea. La forza di Greta è proprio questa, essere una persona della loro età. Ma soprattutto la potenza sua e di tutti i suoi compagni è l’innocenza. A loro non può essere imputata alcuna colpa. Possono metterci sul banco degli imputati per le colpe o semplicemente per i fallimenti. È sotto gli occhi di tutti: abbiamo portato il mondo al collasso.

Che cosa ci dice Greta che non sapessimo già?

Le svolte generazionali fanno emergere un sentire comune. Ma questi ragazzi hanno avuto il coraggio di parlare. Il sociologo Sidney Tarrow ha usato un’espressione: “Quelli che osano”. Ecco, Greta e i suoi compagni sono quelli che osano e aprono la breccia culturale di cui parlava già Edgar Morin.

C’è chi, come Norma Rangeri, ha suggerito un paragone con il 1968. È d’accordo?

Ci sono somiglianze. Le generazioni del 1968 e del 2019 si credevano entrambe perdute. Allora si parlava di “gioventù bruciata”, oggi di ragazzi dell’iPhone. Ma di colpo queste generazioni si sono ritrovate protagoniste, unite dall’innocenza e dalla responsabilità che hanno in mano. Non solo: anche il ’68 nasceva come reazione a una minaccia che poteva distruggere l’umanità. Allora era la bomba, adesso l’emergenza ambientale.

E le differenze?

Il ’68 metteva in scena una simbologia politica che questo movimento non pratica. E infatti la politica politicante ha rovinato il movimento nato dagli anni Sessanta.

Lei parla di muro caduto. L’aria che si respira oggi ricorda anche il 1989 e il crollo del Muro di Berlino?

No, non direi. Allora quando si chiuse un’epoca di oppressione non si aprì un tempo di libertà.

La politica di fronte ai ragazzi del ’19 si sente ancora una volta spiazzata. C’è qualcuno che può sperare di rappresentarli?

I grandi movimenti di massa hanno cambiato il mondo e le urne elettorali sono venute dopo. La protesta non si traduce immediatamente in elettori ed eletti.

Ma c’è qualche partito, secondo lei, che può pensare di arruolare chi sfilava venerdì in piazza?

How dare you, come osate, come vi permettete, dice Greta. Il suo dito è puntato contro tutti noi. No, non credo che ci siano partiti che possano pensare di appropriarsi di queste piazze. E comunque tra quei giovani ho visto tanti sedicenni che nemmeno considerano le logiche politiche e di partito. Questi giovani vivono in un mondo diverso.

Chi sono i nemici di Greta e dei suoi compagni di protesta?

Ci sono quelli che pensano che intanto le acque non saliranno. Che il cambiamento climatico non esiste. Che chiamano questi ragazzi “gretini”. Ma in fondo sono i nemici più manifesti e meno insidiosi. Poi ci sono quelli, anche nel mondo dell’informazione, che oggi corteggiano la protesta e domani continueranno a fare i loro affari. E poi c’è chi prima di Greta ha provato e ha fallito.

Di chi sta parlando?

Penso, per esempio, ai nostri verdi che erano arrivati su questo terreno, ma non sono riusciti ad abitarlo. Penso alla sinistra che si porta sulle spalle le madamine amiche del Tav e lo sblocca-Italia.

Il Fridays for future si è attirato critiche e dubbi anche da chi ha radici politiche negli anni Sessanta. Perché?

Ci vedo diffidenza o senso di superiorità. Ma anche invidia, gelosia o timore di diventare superati. Ogni rivoluzione dichiara vecchi i rivoluzionari precedenti, anche il ’68 lo fece. Certe parole mi fanno male, anche quelle di Massimo Cacciari che ha invitato a usare le ore delle manifestazioni per seminari autogestiti.

C’è chi considera protesta e rabbia come sinonimi di violenza. Perché?

Questa rabbia nasce dall’istinto di autoconservazione. È una rabbia civile, che scaglia concetti e non pietre.

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