La criminalizzazione del dissenso e la conseguente repressione poliziesca, in contrasto con i principi più sacri della Costituzione, anche prima della conversione in legge del cosiddetto decreto sicurezza, sono oramai entrati nell’ordinamento giuridico di questa Repubblica. Il percorso parlamentare di conversione ha evidenziato almeno tre fattori che dovrebbero far tremare di preoccupazione ogni vero democratico: questo Governo passa con grande disinvoltura dai disegni di legge ai decreti-legge quando l’iter parlamentare dei primi diventa, non proprio rischioso (alla fine hanno la maggioranza), bensì troppo lungo per compiere sterzate autoritarie come questa falsamente intestata alla sicurezza. Il peggioramento del Codice penale, con l’inserimento di decine di nuovi reati, l’inasprimento di pene già esistenti ed altre “prodezze” (le abbiamo già esaminate più volte, cfr. www.strisciarossa.it, 2 aprile 2025) hanno inciso fortemente sulla forma di Stato passando per un Parlamento che ormai funge da cassa di risonanza del Governo; il capovolgimento del rapporto fiduciario fra Parlamento e Governo è il sintomo inquietante del crollo del sistema della rappresentanza. È questo il quadro in cui si materializzano gli ectoplasmi dell’autoritarismo liberticida, e il timore che mi sorgeva leggendo la prima stesura del fu disegno di legge del Governo (Art. 14 Atto Senato 1236) quasi un anno fa, diventato legge a tempi di record, oggi è amara realtà.
Le gravi minacce contro i metalmeccanici a Bologna
È successo a Bologna nei giorni scorsi, come ormai sanno tutti, che un corteo pacifico di lavoratori metalmeccanici, organizzato dai sindacati metalmeccanici in modo unitario, avendo occupato la tangenziale per poche centinaia di metri con l’unico scopo di pubblicizzare le motivazioni della loro sacrosanta protesta, sia finito nella cipigliosa attenzione della questura. Vi è stata, infatti, la minaccia di denuncia nei confronti dei lavoratori individuati con le telecamere come si fa per le tifoserie da curva sud negli stadi, in applicazione di quel famigerato art. 14 confluito nella legge 80/2025.
Quei “sedicenti operai”, come sono stati definiti da luogotenenti meloniani, rivendicano aumenti salariali per fronteggiare l’inflazione, migliori condizioni di lavoro, la revisione dell’orario e, soprattutto, sicurezza nei luoghi di lavoro in uno scenario macabro di omicidi a cui quotidianamente siamo costretti ad assistere. Di fronte al rifiuto delle organizzazioni datoriali di entrare nel merito in trattativa, tenendo conto che il tavolo si è interrotto dallo scorso 12 novembre, scattava uno sciopero nazionale di 8 ore, indetto da Fim Cisl, Uil-Uilm e Fiom-Cgil in 19 città italiane con un’adesione aggiratasi intorno all’80%. Chi vive nel mondo del lavoro sa bene che l’occupazione delle strade che si svolge nelle manifestazioni pacifiche e senz’armi (art. 17.1 Cost) sono provvisorie, simboliche e soprattutto finalizzate all’informazione diretta (la televisione di regime non ne parla) sulle motivazioni che inducono decine di migliaia di lavoratori ad incrociare le braccia, nell’esercizio di uno dei più importanti diritti conquistati con la Resistenza: lo sciopero! Tali occupazioni, come tutti sanno, non hanno finalità terroristiche né derivanti da un perverso desiderio di intralciare il traffico e creare disagi, e la loro criminalizzazione è una scelta politica consapevole: antioperaia e antidemocratica di questo Governo.
“È sbocciato il primo frutto avvelenato del decreto sicurezza, ora convertito nella legge 80/2025”, questa l’affermazione di Enzo Cheli, ex giudice della Corte costituzionale in un’intervista a Repubblica. È Il primo passo di un processo di fascistizzazione dello Stato che passa subito attraverso i diritti dei lavoratori e impatta pesantemente sulla principale componente della Repubblica democratica: il lavoro, appunto. Il dissenso non è più un diritto e manifestarlo, specie se in più persone, è un esercizio criminale perseguibile come previsto dalle nuove norme. Nuove per modo di dire: in realtà il fascismo fu campione di repressione del dissenso con mezzi violenti e polizieschi, non senza una progressiva fascistizzazione del diritto.
Nel mirino della destra c’è il diritto di sciopero
D’altra parte, che ci sia nel mirino il mondo del lavoro e soprattutto il diritto di sciopero è testimoniato dalla proposta di Durigon, sottosegretario leghista al lavoro: vietato indire scioperi il lunedì e il venerdì nella stagione turistica; l’adesione a uno sciopero deve essere comunicata individualmente almeno 24 ore prima dello sciopero. Due proposte (per ora ancora tali) che indebolirebbero fortemente il diritto di sciopero fino a renderlo quasi nullo: lo sciopero è l’unica arma di pressione nelle mani dei lavoratori ed è esercitabile proprio per arrecare disagi al datore di lavoro. Dare a quest’ultimo la possibilità di riorganizzarsi annullerebbe quell’unica possibilità di pressione insita nello sciopero; inoltre, che un lavoratore debba preavvertire singolarmente il datore di lavoro almeno 24 ore prima della sua adesione, lo metterebbe in una condizione di soggezione tale da farlo rinunciare. Sarebbe un vero ricatto. L’attacco al diritto di sciopero, come si vede, si manifesta sotto varie forme e per mezzo di diverse insidie delle quali vittime sono i lavoratori.
Questo sciopero dei metalmeccanici, tuttavia, sortiva una specie di risveglio del Governo che convocava in fretta un tavolo per il 21 giugno, ma si è risolto in un nulla di fatto per via dell’atteggiamento sprezzante e provocatorio di Federmeccanica. Un atteggiamento costante di questa associazione che aveva sempre impedito un vero confronto. Quello dei giorni scorsi era il quinto sciopero cui i metalmeccanici erano stati costretti per via della chiusura da parte delle associazioni datoriali, ma anche per l’assenza del Governo che in questo tavolo dovrebbe svolgere un costruttivo ruolo super partes, senza consentire ai vari gendarmi meloniani affermazioni e sarcasmi antioperai e antisindacali.
La legge 80/2025 rappresenta al momento il punto più basso raggiunto da un Governo autoritario che punta a silenziare il dissenso, particolarmente nel mondo del lavoro, ma in genere fra le grandi schiere dei più deboli. Dei senzatetto; delle persone ridotte in povertà assoluta e di quelle “invisibili”, che pur avendo un minimo di salario spesso precario, sono costrette a ricorrere alle mense della solidarietà. Delle donne spesso costrette a furti di sopravvivenza anche per i loro figli. Dei migranti privi di qualsiasi prospettiva in attesa di un permesso di soggiorno o di un rimpatrio, a cui si nega perfino il diritto di comunicare con i propri cari. Non era ancora stato abbastanza chiaro quanto la negazione dei diritti costituzionali potesse incidere sulla vita di tutti i giorni per milioni di cittadini. I diecimila metalmeccanici di Bologna, ma in genere tutta la categoria con il quinto sciopero dell’altro ieri, con la loro mirabile adesione e con la loro forza di esserci, hanno dimostrato che con la legge 80/2025 questo Governo è a un passo dal fascismo.