La Bibbia: un testo che, nel corso dei secoli, ha aiutato i credenti a vivere meglio la propria vita e a creare società organizzate con maggiore giustizia? Sì e no! Essa contiene infatti, a mio parere, grandi insegnamenti, che ancora oggi conservano tutta la loro validità, ma porta anche il peso di condizionamenti culturali di epoche passate, le cui conseguenze possono essere disastrose. Se i testi biblici, quindi, vengono interpretati con metodo storico-critico, è possibile trovare in essi un messaggio di grande attualità; se, invece, ogni pagina viene presa alla lettera come parola divina, come è accaduto nell’Europa cristiana negli ultimi due millenni, accanto agli effetti positivi, comunemente e giustamente riconosciuti, possono essercene alcuni molto negativi.
In questo articolo mi propongo di portare qualche esempio di ciò, soffermandomi sull’atteggiamento cristiano nei confronti degli ebrei.
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Per quanto riguarda tale questione, occorre anzitutto chiarire il significato di tre termini, talvolta usati con una certa approssimazione. Con ‘antigiudaismo’ si intende l’avversione cristiana nei confronti della religione ebraica e del popolo che rimane ad essa legato. Con ‘antisemitismo’ si intende l’odio per gli ebrei determinato da motivi razziali. Con ‘antisionismo’ si intende l'opposizione al progetto ebraico di costituzione in Palestina dello Stato di Israele.
Posto che le differenti motivazioni non sono radicalmente separate, e anzi spesso si influenzano a vicenda, coinvolgendo anche ragioni di carattere economico e sociale, preciso subito, per evitare equivoci, che qui mi occupo solo dell’antigiudaismo cristiano (e non di quello musulmano).
Un antigiudaismo che innegabilmente trova fondamento in passi neotestamentari, presi per secoli alla lettera come testi storici. Stando al racconto di Matteo, per esempio, Gesù, per essere giudicato, è condotto di fronte a Pilato che, non trovando ragioni per condannarlo, “prese dell'acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi! E tutto il popolo rispose: Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (27, 24-25). È, questo, un versetto che ha avuto conseguenze storiche di enorme portata: esso è stato letto come un’auto maledizione con la quale gli ebrei, chiedendo di crocifiggere Gesù, attirarono su di sé e sui propri discendenti un vero e proprio fiume di sangue.
Nel vangelo di Giovanni, poi, a Gesù che polemizza con alcuni farisei vengono attribuite queste parole: “Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c'è verità” (8, 44). Ma una ventina di anni dopo la crocifissione di Gesù, e quindi ancor prima della redazione dei vangeli, già Paolo, nella 1 Tessalonicesi, affermava che i Giudei “hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, hanno perseguitato noi, non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini. Essi impediscono a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano sempre di più la misura dei loro peccati! Ma su di loro l'ira è giunta al colmo” (2, 15-16). Gli ebrei, dunque, si sono allontanati dalla verità, hanno come ‘padre il diavolo’ e hanno commesso la colpa più grave: per secoli saranno, infatti, accusati di deicidio.
Questi passi, come era prevedibile, hanno influenzato i Padri della Chiesa come Agostino, che – citando Isaia “È stato condotto a morte per l'iniquità del mio popolo” (53, 8) – scrive: “Ciò viene detto di Cristo che voi - nei vostri padri - avete inviato a morte, e fu condotto come un agnello alla mattanza” (Tractatus adversus Iudaeos, 7.10). Gli ebrei, perciò, sono ora, come popolo eletto, sostituiti dai cristiani. Il versetto della parabola dei vignaioli omicidi – “Ucciderà senza pietà quegli uomini malvagi e darà la vigna in affitto ad altri agricoltori” (Matteo, 21, 41) – è infatti così commentato da Agostino: il vangelo “Non dice: la sradicherà e ne pianterà una nuova, ma affiderà la medesima vigna ad altri agricoltori. Ed essa è in verità la città di Dio formata dalla società dei santi” (Tractatus adversus Iudaeos, 6.7).
Nel XIII secolo, poi, Tommaso d’Aquino sostiene che almeno i capi degli ebrei hanno commesso consapevolmente un deicidio: infatti, “si può anche dire che l'abbiano conosciuto come vero Figlio di Dio, perché ciò risultava loro dall'evidenza dei segni, ai quali però per odio e per invidia non vollero arrendersi, riconoscendolo come Figlio di Dio” (Somma teologica, III, 47, 5). Ma anche il popolo può essere accusato di deicidio, perché la sua ignoranza della natura divina del Cristo era in qualche modo voluta: “L'ignoranza ‘affectata’ [artificiosa] non scusa la colpa, ma piuttosto l'aggrava: essa infatti dimostra che uno è così intenzionato a peccare che preferisce rimanere nell'ignoranza per non evitare il peccato. Perciò i giudei peccarono non solo come crocifissori dell'uomo Cristo, ma come crocifissori di Dio” (III, 47, 5 ad 3).
In effetti, già in seguito all'Editto di Tessalonica del 380 d. C, con cui Teodosio I rese il cristianesimo religione di Stato, gli ebrei vennero progressivamente privati dei diritti di cui avevano goduto sotto gli imperatori pagani. In una società cristiana, che considerava un dovere disprezzare, odiare e punire gli ebrei, questi vissero in una condizione di inferiorità: non potevano sposare cristiani, né avere schiavi cristiani, né possedere terre. Spesso esclusi dalle corporazioni di mestiere, si dedicarono ad attività come il prestito a interesse, vietato ai cristiani, acquistando così un peso nell'economia medievale che li rese anche bersagli di invidie e accuse di usura. A partire dal 1000, poi, ebbero inizio attacchi violenti alle comunità ebraiche, conversioni forzate e accuse ripetute: avvelenare i pozzi, diffondere la peste, commettere omicidi rituali e profanare le ostie.
Ma i primi grandi massacri si verificarono nell'Europa Centrale nel 1096, ai tempi della prima Crociata: le comunità ebraiche insediate lungo il Reno e il Danubio furono quasi del tutto cancellate dai cavalieri cristiani in marcia verso la Terrasanta. Già a partire dal 1100, poi, numerose furono le espulsioni degli ebrei dagli Stati europei: Francia, Germania e soprattutto Spagna. Il papa Sisto IV (1471-1484), infatti, istituì nel 1478 l'Inquisizione spagnola, che mirava a sorvegliare, ed eventualmente punire, i ‘conversos’, cioè gli ebrei, e i ‘moriscos’, cioè i musulmani, che ufficialmente si erano convertiti ma continuavano in realtà a seguire in segreto la propria religione. Così la regina Isabella, sostenuta dall’inquisitore Torquemada, costrinse nel 1492 gli ebrei che rifiutavano il battesimo a lasciare il Paese: ben 150.000 ebrei dovettero abbandonare le loro case per non rinunciare alla loro fede.
La chiesa romana, contraria in genere alle violenze contro gli ebrei, era però favorevole alla separazione tra cristiani ed ebrei. Già il IV Concilio Lateranense del 1215 aveva disposto per questi ultimi l’obbligo di portare segni particolari, come distintivi o cappelli gialli. Nel XVI secolo nacquero i primi ‘ghetti’, i quartieri dove gli ebrei furono costretti a risiedere. In Italia, dopo quello di Venezia, ne fu creato uno a Roma, per ordine di Paolo IV (1555-1559). Circondati da mura, con portoni che venivano chiusi al tramonto e riaperti all'alba, questi luoghi non potevano estendersi, nonostante l’inevitabile aumento della popolazione. E nel 1570 Pio V (1566-1572) introdusse nel Messale romano l’invocazione pro perfidis judeis, che li accusava di cecità e pregava per la loro conversione, formula cancellata dalla liturgia solo nel 1959, sotto il pontificato di Giovanni XXIII (1958-1963).
Nel Seicento e nel Settecento la condizione degli ebrei comincia a migliorare, grazie all’iniziale secolarizzazione della società europea. Nel corso della rivoluzione francese, l'Assemblea Nazionale emancipò nel 1791 la popolazione ebraica e, con un editto del 1806, Napoleone estese la parificazione giuridica degli ebrei a tutti gli Stati satelliti dell’Impero. Con l’unificazione della Germania e la nascita dell’impero tedesco, nel 1871, venne concessa, ad opera di Bismarck, agli ebrei la piena cittadinanza. In Italia, il ghetto fu definitivamente abolito, e gli ebrei equiparati agli altri cittadini, solo nel 1870, dopo la breccia di Porta Pia e la fine del potere temporale dei papi.
Ciò non significa che nell’Ottocento l’ostilità nei confronti degli ebrei abbia avuto fine. Al contrario, il ruolo di primo piano conquistato nella società europea – in poche generazioni saranno presenti in tutti i settori e le professioni – accrebbe tale ostilità, che troverà una significativa espressione ad opera di un giornalista tedesco, Wilhelm Marr (1819-1904), che coniò il termine ‘antisemitismo’ e che nel 1879 fondò la Lega Antisemita che, considerando la presenza degli ebrei una minaccia per la Germania, chiedeva la loro rimozione forzata dal paese.
Proprio la diffusione di questi sentimenti antiebraici porterà, pochi anni dopo, un giornalista ebreo di origini ungheresi, Theodor Herzl (1860-1904), considerato fondatore del ‘sionismo’ (Sion è una delle colline di Gerusalemme), a pubblicare nel 1896 un saggio, intitolato Lo Stato ebraico, in cui proporrà, come soluzione della questione della crescente insofferenza nei confronti del suo popolo, la creazione di uno Stato ebraico attraverso un piano di immigrazione di massa verso la regione palestinese.
Come già detto, qui non ci occupiamo dell’antisemitismo, che culminerà con l’Olocausto ad opera dei nazisti, né del sionismo, che porterà alla nascita dello Stato di Israele in Palestina. Ci pare opportuno, però, sottolineare come l’antigiudaismo abbia continuato a caratterizzare l’atteggiamento della chiesa romana sino al Novecento.
Come Herzl racconta nei suoi diari, in un colloquio con Pio X (1903-1914) all’inizio del secolo, il papa gli disse: «La fede ebraica è stata il fondamento della nostra, ma è stata sostituita dall’insegnamento di Cristo, e noi non possiamo riconoscerle alcuna esistenza» (vedi Simon Levis Sullam, Per una storia dell'antisemitismo cattolico in Italia, in https://www.treccani.it/enciclopedia/per-una-storia-dell-antisemitismo-cattolico-in-italia_(Cristiani-d'Italia)/). Una tradizione teologica plurisecolare, che considerava gli ebrei condannati alla dispersione perpetua, sembrava infatti contraddetta dal riaffacciarsi, sul proscenio della storia, del popolo ebraico con un proprio Stato, e perciò una simile ipotesi appariva assolutamente da contrastare.
Una ventina di anni dopo, il francescano padre Agostino Gemelli (1878-1959), fondatore e rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, tra le personalità più autorevoli nell’ambiente ecclesiastico del tempo, pubblicò in forma anonima sulla rivista della stessa Università un necrologio che testimonia come la cultura cattolica fosse ancora legata alla tradizione antigiudaica: «Un ebreo, professore di scuole medie, gran filosofo, grande socialista, Felice Momigliano, è morto suicida. […] Ma se insieme con il Positivismo, il Socialismo, il Libero Pensiero, e con il Momigliano morissero tutti i Giudei che continuano l'opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio? Sarebbe una liberazione, ancora più completa se, prima di morire, pentiti, chiedessero l'acqua del Battesimo». Pochi mesi dopo, nel numero di dicembre 1924 della stessa rivista, Gemelli chiedeva scusa per la ferocia selle sue parole e precisava: “ogni giorno, come deve fare ogni buon cristiano, prego per la conversione degli ebrei”.
Durante il pontificato di Pio XII (1939-1958), come è noto, il silenzio della Santa Sede accompagnò l’Olocausto, anche se è innegabile l’azione umanitaria svolta dal clero per salvare la vita di moltissimi ebrei, a Roma e non solo. Bisognerà attendere, perché il Magistero cambi le sue posizioni, il Concilio Vaticano II che, con la dichiarazione Nostra aetate, approvata sotto il pontificato di Paolo VI nel 1965, cancellerà l'antica accusa di deicidio rivolta collettivamente al popolo ebraico.
Ulteriori passi avanti sono stati compiuti sotto Giovanni Paolo II, che durante la visita nella Sinagoga di Roma nel 1986 chiamò gli ebrei «fratelli maggiori», e che, in un discorso a cardinali e vescovi riuniti nella Sala dei Papi, riconobbe che “Nel mondo cristiano alcune interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento relative al popolo ebraico e alla sua pretesa colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei confronti di questo popolo” (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti all'incontro di studio su «Radici dell'antigiudaismo in ambiente cristiano», 31 ottobre 1997). Assoluto silenzio, però, sul fatto che tali ‘interpretazioni erronee’ non erano state contrastate dal Magistero.
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In conclusione, non si può dunque negare che le pagine della Bibbia, se hanno fatto molto bene, nel corso della storia hanno fatto anche molto male. Ne è una prova, ancora oggi il massacro dei Palestinesi, che il governo israeliano attua appellandosi a testi ritenuti sacri, esattamente come hanno fatto per secoli i cristiani. Nel Deuteronomio, per esempio, si legge: «Cancellerai la memoria di Amalek sotto al cielo: non dimenticare!» (25, 19). Il primo ministro Netanyahu, nel febbraio del 2024 ha, in effetti, giustificato la sua politica nei confronti di Gaza citando un versetto di I Samuele: «Va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini» (15, 3). Oggi Amalek, per Israele e il suo governo, si identifica col popolo palestinese: questo è un male da estirpare totalmente, perché gli ebrei possano avere finalmente il pieno possesso di quella terra loro promessa da Jahvè.
Forse ancora una volta una scorretta lettura di un antico testo ha causato una grande tragedia, un vero ‘genocidio’, come riconosce uno studioso ebreo, professore di Storia dell’Olocausto presso il Dipartimento di Storia Ebraica e Studi Contemporanei dell’Università Ebraica di Gerusalemme: genocidio “significa non semplicemente uccidere molte persone, ma avere l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso. […] Quell’intento specifico di distruzione è chiaro a Gaza. Che, come società, non esiste più” (Amos Goldberg: “Gaza non esiste più: questo è genocidio”, in Ilfattoquotidiano, 27/12/2024).