Il 24 febbraio del 2022 si è fatto buio all’improvviso, le tenebre sono calate sulla vita dei popoli europei. Una guerra feroce e catastrofica è scoppiata sul confine orientale dell’Europa, travolgendo i destini di milioni di persone e riverberando i suoi effetti nefasti in tutto il mondo. Dopo un anno di combattimenti ininterrotti, senza neanche un giorno di tregua, non si intravede nessuna soluzione. Mentre si riforniscono le retrovie di armi di ogni tipo e si ammassano le truppe, resta immanente il rischio di un’escalation incontrollata in fondo alla quale c’è l’olocausto nucleare.
Come siamo giunti a tutto questo, com’è stato possibile che i sogni dell’89 si siano rovesciati nell’incubo che stiamo vivendo?
Con la caduta del muro di Berlino, un’intera generazione salutò con gioia la fine della guerra fredda. L’epoca dei muri, del confronto brutale fondato sulla forza, della corsa agli armamenti, dell’equilibrio del terrore franava sotto i nostri occhi sotto l’effetto del terremoto della storia. Al suo posto nasceva la speranza di una nuova epoca in cui si potesse avverare la profezia della Carta della Nazioni Unite, di un’umanità liberata per sempre dal flagello della guerra, dove le relazioni internazionali ed interne agli Stati fossero regolate dal diritto e dalla giustizia, dove l’architettura della violenza venisse definitivamente smantellata e le spade rimesse nel fodero. I giovani di allora sognarono un avvenire colmo di speranza.
In quell’epoca il treno della Storia era stato messo su un binario che correva verso un avvenire luminoso. Purtroppo quell’avvenire che ci avevano promesso con la caduta del muro di Berlino è tramontato nell’arco di una generazione. Come recita la dolente canzone di Luigi Tenco: i sogni sono solo sogni e l’avvenire è ormai quasi passato.
In realtà quell’avvenire è passato del tutto, ma ciò non è stato frutto del naturale svolgimento delle vicende umane, bensì di scelte precise degli architetti dell’ordine mondiale che ci hanno derubato dell’avvenire e ci hanno fatto precipitare in questa miserabile condizione di guerra, dalla quale non riusciamo a uscire.
Dobbiamo fare qualche passo indietro. All’inizio degli anni 90, la guerra fredda è finita, l’Unione sovietica ha restituito l’autodeterminazione ai popoli dell’est europeo, la Germania si è riunificata, il Patto di Varsavia è stato disciolto, gli euromissili sono stati smantellati, mentre vengono firmati storici accordi sul disarmo. Questo clima di pacificazione durerà ben poco. Verrà interrotto dalla guerra del Golfo nel 1991, prima prova muscolare dell’impero sopravvissuto alla guerra fredda. Ma le vere scelte che cambiano il clima geopolitico vengono effettuate nel corso del 1997 dall’amministrazione Clinton che, stracciando gli impegni assunti con Gorbaciov, decide di estendere la NATO ad est, cominciando ad inglobare Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Si tratta della scelta politicamente più impegnativa che sia stata fatta dall’Amministrazione USA, dopo quella del contenimento dell’URSS, che ha dato origine alla prima guerra fredda. Contro questa scelta insorsero proprio coloro che la guerra fredda l’avevano teorizzata e praticata. In un articolo sul New York Times del 7 febbraio 1997 il diplomatico americano George Kennan, uno dei teorici della guerra fredda, lanciò un grido d’allarme, osservando:
“ la decisione di espandere la NATO sarebbe il più grave errore dell’epoca del dopo guerra fredda. Una simile decisione avrebbe l’effetto di infiammare le tendenze nazionalistiche antioccidentali e militariste nell’opinione pubblica russa, pregiudicherebbe lo sviluppo della democrazia in Russia, restaurerebbe l’atmosfera della guerra fredda nelle relazioni est ovest, spingerebbe la politica estera russa in direzioni a noi decisamente non favorevoli.”
Clinton non ascoltò le proteste dei protagonisti della guerra fredda, fra cui lo stesso Henry Kissinger e andò avanti nel suo progetto. Nel summit che si svolse a Madrid l’8 e il 9 luglio 1997, la NATO assunse la decisione di estendersi ad est, cominciando ad includere Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, che furono formalmente ammesse nel 1999.
Della gravità e dell’importanza geostrategica di questa scelta, nessuna forza politica si rese conto e nessuno si oppose. In verità il grido d’allarme sollevato da George Kennan fu raccolto in Italia, in un isolato articolo pubblicato dal Manifesto il 24 giugno 1998 (D. Gallo, M. Dinucci, La nuova cortina di ferro). L’articolo sottolineava che dall’allargamento ad est della NATO derivava il rischio di un’altra guerra fredda ed osservava: “ E’ una decisione la cui portata è paragonabile, nella mutata situazione internazionale, a quella degli accordi di Yalta.”. (..) nessuno può dire– proseguiva l’articolo – quali saranno in futuro le reazioni ed eventuali contromisure della Russia di fronte all’espansione della Nato verso i suoi confini. Sul piano geopolitico, è di tutta evidenza che il fatto di far avanzare le basi della Nato, portandole ai confini della Russia, costituisce oggettivamente un incremento della minaccia in senso tecnico-militare. Anche della minaccia nucleare.” In conclusioni gli autori osservavano: “Si pongono in questo modo le premesse per riesumare il fantasma della guerra fredda, fondata questa volta non più sulla competizione politico-ideologica fra i due blocchi, ma su un confronto meramente nazionalistico, come tale meno razionale e più imprevedibile. Cresce, pertanto, la possibilità che la marcia ad Est della Nato crei un nuovo fronte di tensione tra Est e Ovest in cui l’Europa si troverebbe ancora una volta coinvolta. Insomma, di nuovo un fantasma si aggira per l’Europa.”
All’epoca non si poteva prevedere la guerra che sarebbe scoppiata 24 anni dopo, però non era difficile comprendere che la nuova guerra fredda che si stava impiantando sarebbe stata molto più pericolosa della prima perché avrebbe attizzato derive nazionalistiche molto più irrazionali del confronto ideologico che animava, ma frenava anche, la prima guerra fredda. Tuttavia, una scelta, così densa di incognite, è passata inosservata, la politica si è voltata dall’altra parte e nessuno si è accorto che si stava impiantando nel cuore dell’Europa una nuova cortina di ferro.
Il passo successivo è stato quello di cambiare la missione della NATO, che ha “superato” la sua natura di patto difensivo e si è trasformata in un formidabile strumento militare del tutto svincolato dal rispetto della Carta dell’ONU. Questa nuova missione è stata sperimentata con l’aggressione alla Jugoslavia: settantotto giorni di bombardamenti ininterrotti, volti a smembrare l’integrità territoriale della Jugoslavia con la separazione del Kosovo. Nel summit per il cinquantenario della NATO a Washington il 23 e 24 aprile 1999, la NATO legittimava questo suo nuovo volto, dichiarandosi competente a compiere operazioni militari al di fuori dell’art. 5 del Patto Atlantico, cioè si riappropriava del diritto di guerra. Nel disinteresse generale è proseguita l’espansione della NATO ad est, che ha inglobato anche quelle Repubbliche che una volta facevano parte dell’Unione Sovietica (Estonia, Lettonia e Lituania). Con il vertice di Bucarest del 2 aprile 2008, la NATO ha lanciato un ulteriore guanto di sfida alla Russia, dichiarando la disponibilità ad inglobare anche Ucraina e Georgia. Dopo un lavoro di ri-costruzione del nemico durato oltre venti anni, alla fine il nemico si è materializzato e la parola è passata alle armi.
In realtà, con la scelta che gli USA hanno imposto alla NATO nel luglio del 1997, il treno della Storia è stato deviato su un altro binario, verso un percorso che ci ha sempre più velocemente allontanato dall’orizzonte del 1989 ed alla fine è arrivato al capolinea il 24 febbraio del 2022, data che simbolicamente rappresenta l’evento opposto e contrario a quello del 9 novembre 1989.
Per uscire da questo disastro bisogna cambiare il capotreno e riportare il treno della Storia sul binario che stava percorrendo nel 1990.