Contro l’astensionismo. Più democrazia diretta

di Massimo Villone - Ilfattoquotidiano.it - 22/06/2025
La sfida alla destra sulle riforme va avviata fin d’ora, con un progetto alternativo. O aspettiamo che qualcuno certifichi l’avvenuto scivolamento nell’autocrazia?

In una democrazia cosiddetta liberale una disaffezione di massa dal voto – come si manifesta nel nostro Paese – non va presa alla leggera, soprattutto in un momento storico segnato da vicende devastanti come le guerre in atto. La fragilità istituzionale che ne deriva è una debolezza grave, e la risposta non si trova nell’introduzione di un obbligo giuridico di votare. Idea inevitabilmente velleitaria, come indica Marco Travaglio su queste pagine. Alternative? Puntare sugli istituti di democrazia diretta. Ecco alcuni punti di riflessione.

Primo. Per l’iniziativa legislativa popolare l’articolo 71 prevede “la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli”. Nulla vieta che i regolamenti parlamentari disegnino un percorso speciale e differenziato. È già così per l’articolo 74 del regolamento del Senato, che prevede termini per i lavori di commissione e l’iscrizione di ufficio nel calendario dell’assemblea. L’abbiamo sperimentato come “Coordinamento per la democrazia costituzionale” con un ddl costituzionale di riforma del Titolo V presentato con 106 mila firme e giunto in aula il 24.01.24. Un primo intervento è dunque volto a introdurre nel regolamento della Camera una norma simile. Va compreso che in commissione la maggioranza può fagocitare o cannibalizzare la proposta, presentando un proprio disegno di legge, scegliendolo come testo base e determinando così l’assorbimento e la scomparsa delle altre proposte in discussione. Ma questo si può evitare perché il passaggio in commissione di per sé non è eliminabile in quanto prescritto dalla Costituzione (art. 72), mentre i poteri della commissione sono modulabili con le norme del regolamento. E nulla si oppone alla previsione di percorsi differenziati anche in ragione del numero delle firme che sorreggono la proposta. Importante è che nell’aula – poi chiamata per l’art. 72 Cost. ad approvare “articolo per articolo e con votazione finale” – arrivi in chiaro l’intento dei proponenti, al fine di assicurare visibilità e piena assunzione di responsabilità da parte della maggioranza sul merito della proposta.

Secondo. Il referendum abrogativo è oggetto di molteplici norme (legge Cost. 1/1953; legge 87/1953; legge 352/1970). Ma si possono intanto considerare innovazioni che non richiedono modifiche della normativa esistente. Tale è il caso per il voto online. Possiamo ricordare che un primo esperimento è stato già fatto nel referendum lombardo sull’autonomia differenziata nel 2017. Esiste un decreto ministeriale (Interno, 09.07.21, con linee guida), poi integrato (Interno, 18.10.21) sull’avvio di una fase di sperimentazione del voto online. Sono state fatte simulazioni. Le difficoltà tecniche opposte in termini in specie di segretezza e personalità del voto sono superabili, anche ricorrendo a tecnologie magari esoteriche per i non addetti ai lavori, ma note ai tecnici del settore, come la blockchain. In realtà, le resistenze vengono dalle burocrazie – nel senso più lato – presenti ovunque, nella politica, nel sindacato o anche nella società civile. Il voto online è guardato con diffidenza perché stravolge modelli consolidati. E in specie per chi si fonda in qualunque modo sul consenso di altri è una sfida rischiosa.

Terzo. Si può pensare a introdurre nel nostro ordinamento il referendum consultivo, ad esempio per quesiti come “Siete favorevoli a tornare al nucleare?”. Non essendo diretto a produrre effetti sul piano degli atti normativi – abrogazione, approvazione – ma solo a dare indicazioni per le scelte da assumere nelle istituzioni, è corretto ritenere che basterebbe una modifica mirata della legge 352/1970, volta ad ampliare la tipologia dei referendum ivi previsti. Per evitare derive plebiscitarie si può aprire al solo quesito sostenuto da firme, escludendo quello posto “dall’alto”. Non si mostra conclusivo in senso contrario, per le specificità dell’oggetto, il precedente della legge Cost. 2/1989 sul mandato costituente al Parlamento europeo.

Quarto. Rimangono proposte che richiedono una modifica costituzionale, e ce ne occuperemo in una prossima puntata. Intanto, la maggioranza accelera in Senato sulla riforma della giustizia. È possibile che intenda misurarsi su quell’unico referendum confermativo, visto che sul premierato basterebbe per il risultato voluto la legge elettorale gradita a Meloni, con l’investitura popolare sostanzialmente diretta e il pieno controllo del Parlamento. Con il benefit collaterale che per la giurisprudenza costituzionale un referendum abrogativo non sarebbe ammesso sulla legge elettorale, o verrebbe almeno in ampia misura limitato nella portata. La sfida alla destra sulle riforme va avviata fin d’ora, con un progetto alternativo. O aspettiamo che qualcuno certifichi l’avvenuto scivolamento nell’autocrazia?

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