Nella sua omelia di sabato 11 aprile, Papa Francesco ha parlato del “diritto alla speranza” come “diritto fondamentale”. Ovviamente non si tratta di un diritto stabilito da leggi o Costituzioni. Si tratta, piuttosto, di un meta-diritto, una sorta di principio costitutivo della morale e della politica che forma il presupposto di qualunque lotta per i diritti e per la trasformazione in senso progressivo della società. Mi ha ricordato un celebre passo di Kant del 1793: “senza la speranza di tempi migliori, un serio desiderio di fare qualcosa di utile per il bene generale non avrebbe mai eccitato il cuore umano”.
La speranza nel progresso, infatti, forma il presupposto sia dell’impegno morale che di quello politico. Ma soprattutto quel “diritto alla speranza” mi ha ricordato Il principio speranza di Ernst Bloch, scritto tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta del secolo scorso e pubblicato da Garzanti in tre volumi nel 1994. Il principio della speranza si contrappone infatti ad ogni accettazione passiva di quanto accade come inevitabile, perché necessario e senza alternative. Che è precisamente la fallacia realistica che ha sorretto le politica liberiste di questi anni: la tesi che non esistono alternative all’attuale realtà delle relazioni economiche, politiche e sociali e il discredito come utopia di quella “speranza di tempi migliori” evocata da Kant come presupposto di qualsiasi impresa informata al bene comune.
La pandemia del coronavirus sta mostrando drammaticamente la mancanza di realismo proprio di quanti suppongono che la realtà possa ri¬manere come è senza andare incontro a catastrofi. Con il suo quotidiano bilancio di nuovi contagi e di morti, essa sta mostrando l’imprevidenza e la dissennatezza delle nostre politiche, sedicenti realistiche, incapaci di affrontare le sfide globali dalle quali dipendono la salute e la vita di miliardi di persone. Benché il pericolo di una pandemia fosse stato più volte previsto, nulla è stato fatto, dalle nostre politiche “realiste” per fronteggiarlo. In vista delle guerre si fanno esercitazioni militari, si costruiscono bunker, si mettono in atto simulazioni di attacchi e tecniche di difesa e si accumulano armi sempre più micidiali. Contro il pericolo annunciato di una pandemia non è stato fatto nulla. Il coronavirus ci ha fatto scoprire l’assurda insufficienza del numero dei medici e degli infermieri e l’incredibile mancanza di reparti di terapia intensiva, di respiratori, di tamponi e di mascherine.
Ci siamo accorti di essere stati privati, dal “realismo” delle nostre politiche, delle misure più elementari per fronteggiare il contagio. La follia estrema è stata raggiunta nel Paese più potente del mondo, gli Stati Uniti, dove si è continuato a produrre armi contro nemici inesistenti e si è rilanciato la corsa agli armamenti nucleari, mentre decine di milioni di poveri venivano abbandonati a se stessi perché privi di assicurazione medica e decine di migliaia di americani stanno morendo a causa dell’assenza di una sanità pubblica e per la mancanza di posti-letto e di test diagnostici.
Il diritto alla speranza rivendicato da papa Francesco equivale al diritto di contestare e contrastare queste insensate politiche di morte. Come è già avvenuto nella storia, la tragedia che stiamo vivendo può determinare un risveglio della ragione in ordine alla necessità di prendere sul serio e di dare attuazione, istituendo nuove funzioni e istituzioni globali di garanzia, alle grandi promesse – l’uguaglianza, la pace, la dignità della persona, i diritti umani – formulate in tante Carte costituzionali e internazionali all’indomani degli orrori dei fascismi e delle guerre mondiali. Il diritto alla speranza e il principio politico della speranza sono il presupposto necessario di questo ripensamento e di questa rifondazione razionale della politica e del diritto. E’ infatti da questa comune speranza, in grado di coinvolgere l’impegno di tutti gli esseri umani, che può provenire l’energia costituente necessaria a rifondare l’ordine mondiale sull’universalismo nei diritti, sull’uguaglianza, sulla solidarietà e sulla consapevolezza della nostra comune fragilità, della nostra interdipendenza e del nostro comune destino.
Questo primato e questa universalità dei diritti fondamentali non sono stati soltanto negati in passato dalle politiche liberiste, informate al primato del mercato. Continuano di nuovo a essere negati dalla corsa dissennata alla riapertura dei mercati sollecitata dai poteri economici, anche a costo di un nuovo scatenarsi dei contagi, per il timore della concorrenza o peggio per la volontà di conquistare fette di mercato a danno di altri. Non solo. Sono negati anche dalle ideologie e dalle politiche populiste e sovraniste, anti-europeiste e anti-cosmopolitiche, che vorrebbero farci regredire ai nefasti conflitti nazionalisti e identitari della prima metà del secolo scorso.
La pandemia del coronavirus, colpendo tutto il genere umano, senza distinzioni di nazionalità e di ricchezze, può farci ripensare il nostro futuro e generare la speranza di un reale mutamento di rotta. Può provocare la presa di coscienza dei pericoli di altre gravi catastrofi – ambientali, nucleari, umanitarie – che incombono sul nostro futuro e che possono essere fronteggiate soltanto dalla costruzione di istituzioni globali di garanzia: un’Organizzazione mondiale della Sanità in grado di gestire in maniera globale e omogenea le pandemie e le aggressioni alla salute, a garanzia non solo dell’uguaglianza ma anche della massima efficacia delle misure contro il contagio; l’istituzione di un demanio planetario a tutela di beni comuni come l’acqua, l’aria, i grandi ghiacciai e le grandi foreste; la messa al bando delle armi nucleari ed anche di quelle convenzionali, la cui diffusione è responsabile di centinaia di migliaia di omicidi ogni anno; il monopolio della forza militare in capo all’Onu; un fisco globale in grado di finanziare i diritti sociali alla salute, all’istruzione e all’alimentazione di base, pur proclamati in tante Carte internazionali. Sono queste le grandi novità che il principio della speranza rende oggi pensabili e possibili.
Luigi Ferrajoli