In queste settimane di confusione e ansia, nelle quali l’incertezza si mescola al senso di impotenza, di una cosa sola mi sento sicura. Abbiamo un patrimonio, acciaccato, indebolito, ma, al bisogno, presente: il nostro sistema sanitario.
Teniamocelo caro, questo sistema sanitario. Perché non è scontato che sopravviva.
Hanno tagliato 37 miliardi di euro in questi anni, chiuso decine e decine di ospedali, migliaia di posti letto, centinaia di ambulatori, consultori, servizi territoriali, hanno bloccato le assunzioni, ridotto i corsi universitari di specializzazione, hanno precarizzato i professionisti della sanità, hanno esternalizzato e privatizzato servizi e funzioni.
Hanno cercato di cambiare la sua vocazione. Hanno preteso che le Regioni e le aziende sanitarie mettessero al centro la riduzione della spesa e non la tutela della salute, la “produzione di prestazioni” e non la salute pubblica.
Ricordiamo tutti uno degli uomini forti della Lega, Giorgetti, che con la prosopopea di chi non sa, dichiarava spavaldo: “Nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base?” “Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha almeno 50 anni va su internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito”.
Hanno tentato di abbatterlo, di impoverirlo, di farlo morire di inedia. Perché, si è pensato, anche in sanità, la mano del mercato supplirà e risolverà i problemi.
Poi, all’improvviso, un nuovo virus ci fa scoprire quanto siano fondamentali i medici di famiglia, quanto sia decisivo avere strutture pubbliche forti, ben finanziate, con professionisti esperti, in grado di far fronte all’ignoto, all’eccezionale.
In questi giorni sentiamo parlare solo di strutture pubbliche, dei loro meriti e dei loro affanni. Dove sono i grandi gruppi privati della sanità? Eppure tanti di loro sono accreditati con la sanità pubblica, prendono i nostri soldi. Dove sono i loro servizi, i loro posti letto di rianimazione, i loro laboratori per fare i tamponi?
Per fortuna, grazie ai nostri principi costituzionali, alle conquiste dei decenni passati, alle battaglie di tutte e tutti quelli che in questi anni hanno combattuto in sua difesa, che lo hanno tenuto in piedi a dispetto dei santi, abbiamo una sanità che ha come obiettivo, come vocazione fondamentale la difesa della salute di ognuno e di tutti e tutte noi.
Abbiamo un sistema sanitario che può farlo perché è ancora fondato su una solida rete di strutture pubbliche direttamente gestite dallo Stato e dalle sue articolazioni locali. Non è ancora tutto in appalto, in convenzione.
Per fortuna, in sanità, non abbiamo più soltanto uno “Stato che regola”, ma abbiamo uno “Stato che gestisce” direttamente ospedali e servizi, che può utilizzare rapidamente e efficacemente le sue risorse.
E allora, una priorità certamente da questa storia del corona virus, emerge.
Non so se bisogna chiudere le scuole e isolare interi paesi, ma certamente so che bisogna accrescere i fondi per la sanità pubblica, che bisogna ricominciare ad assumere medici, infermieri, tecnici.
Ma soprattutto bisogna fermarsi a riflettere. Dopo trenta anni di riduzione delle risorse, di privatizzazioni e di chiusure, nel momento del bisogno, quello che ci serve è quello è proprio quanto abbiamo messo a rischio negli scorsi decenni.